La spedizione napoleonica in Egitto segna una grande svolta nel millenario rapporto tra l’Urbe e la terra dei Faraoni.
Roma, sin dall’epoca monarchica, aveva avuto modo di importare preziosi manufatti provenienti dall’Egitto, ma aveva anche visto, almeno dal III secolo a.C., la diffusione di culti orientali, tra i quali spicca quello di Iside, qui giunto grazie ai traffici commerciali tra l’Italia e le città del Delta del Nilo.
Dopo la vittoria nella battaglia di Azio e il suicidio di Cleopatra e Antonio, l’Egitto divenne una provincia dell’Impero nella diretta disponibilità di Ottaviano. Inizia in questo momento la moda egiziana, che vedrà arrivare a Roma molti obelischi – due dei quali, anepigrafi, furono collocati all’ingresso del mausoleo che il primo Imperatore si era fatto edificare in Campo Marzio e ora in Piazza del Quirinale[1] e in Piazza dell’Esquilino[2] – e che vedrà pure l’erezione di almeno due grandi tombe a forma di piramide lungo le principali vie consolari, la sola superstite delle quali è quella di Caio Cestio[3], presso porta San Paolo.
Ma è la capillare diffusione dei culti di Iside e, in misura minore, di Serapide a colpire. Tra resti archeologici e informazioni letterarie ed epigrafiche, il numero attestato di templi pubblici e sacelli privati dedicati a divinità egiziane fu sicuramente superiore a cento. In epoca di Domiziano, il tempio di Iside in Campo Marzio era il più grande edificio cittadino. Ancora oggi, la gran parte dei reperti egiziani o egittizzanti trovati a Roma proviene da quest’area, compresa tra Piazza S. Ignazio, il Collegio Romano e S. Maria sopra Minerva.
In epoca medievale e rinascimentale, l’ispirazione a modelli artistici di origine egizia è ancora presente in molte opere che adornano la città: si pensi ai leoni di San Lorenzo in Lucina[4], realizzati nel XIII secolo dalla famiglia dei Vassalletto, tra i principali marmorari di Roma.
Nel XV secolo, Pinturicchio, tra le rappresentazioni dell’appartamento Borgia in Vaticano, dipinge anche scene ispirate al pantheon egiziano, come i miti di Iside e Apis[5].
Quanto ai secoli successivi, si dovrebbero ricordare almeno gli architetti manieristi Giacomo della Porta e Pirro Ligorio, spesso ispirati dalle sculture che venivano rinvenute soprattutto nell’area dell’antico Iseo Campense.
E motivi di ispirazione egiziana sono presenti anche nella produzione grafica e architettonica di Giovan Battista Piranesi, al quale, attorno alla metà del XVIII secolo, dobbiamo la decorazione a piccoli obelischi nel piazzale dei Cavalieri di Malta[6], sull’Aventino, e la decorazione, oggi perduta, di tredici camini nel Caffè degli Inglesi di Piazza di Spagna.
Ma è dopo la diffusione dei volumi illustrati da Vivant-Denon, artista che aveva seguito il generale Bonaparte nella terra dei Faraoni, con l’incarico di documentare graficamente quanti più monumenti possibile, che si crea una nuova curiosità verso la produzione artistica egiziana, parte di una più generale attenzione nei confronti dell’arte antica, conseguenza delle scoperte delle città vesuviane.
Le grandi famiglie nobiliari romane non sfuggono a questa situazione. I grandi parchi suburbani, come le ville dei Torlonia lungo la Via Nomentana e la Via Salaria, e la Villa Borghese, vengono arricchiti di monumenti e di elementi decorativi, che si ritrovano anche nelle arti suntuarie (in particolare oreficeria e porcellana).
Non è da escludere che i rinvenimenti di opere egizie o egittizzanti nella Villa Adriana di Tivoli possano avere giocato un ruolo importante in un simile contesto culturale, ma è pur vero che, tra il 1825 e il 1826, venne in visita a Roma il decifratore dei geroglifici, Jean-François Champollion, che solo tre anni prima, il 27 settembre 1822, aveva annunciato al mondo di aver individuato la chiave per l’interpretazione della scrittura e della lingua dell’Egitto antico. Questa presenza sottolinea l’importanza che la città, con le sue opere d’arte di diretta provenienza egiziana o ispirate dalla civiltà faraonica, rivestiva nell’àmbito dei primi studi egittologici. Champollion fu ricevuto anche dal Papa Leone XII, e avrebbe ricordato, qualche tempo dopo, gli onori che il Pontefice gli aveva riservato.
Altra figura di grande prestigio nel campo della nascente Egittologia fu Ippolito Rosellini, primo titolare di una cattedra universitaria dedicata a tale scienza e condirettore, insieme a Champollion, della prima missione archeologica organizzata nella terra del Nilo, quella franco-toscana del 1828-1829. Rosellini fu a Roma già nel 1833, ma, quando, nel 1838, Gregorio XVI decise di creare un museo di antichità egizie ed egittizzanti, trovate o acquistate a Roma e nei dintorni, proprio a lui fu chiesto di occuparsi della nascente collezione, che avrebbe dovuto acquisire un prestigio analogo a quelle già presenti in altre capitali, come Torino e Firenze, ove le raccolte di antichità egizie esistevano già dal 1824, ed anche Parigi e Monaco di Baviera, che avevano visto l’apertura di queste collezioni rispettivamente nel 1826 e nel 1828.
Rosellini declinò l’invito, e tuttavia segnalò il nome di un suo allievo, il barnabita Luigi Ungarelli. Questi non solo mantenne l’incarico fino alla morte (avvenuta nel 1843), ma progettò anche, vanamente, il trasporto a Roma dell’obelisco del Faraone Sesostri I, da Eliopoli, approfittando del fatto che l’Egitto stava in quel periodo inviando a Roma dei monoliti di alabastro per contribuire al restauro della Basilica di S. Paolo fuori le Mura, distrutta da un incendio nel 1823.
Ungarelli si specializzò nell’utilizzo del geroglifico per la stesura di testi celebrativi, come quello, datato 1839 (nono anno di pontificato di Gregorio XVI), dedicato al Pontefice nella Sala II del nuovo Museo Gregoriano Egizio; particolare interesse riveste il fatto che il nome del Papa è racchiuso in un cartiglio analogo a quello usato per i nomi dei Faraoni.
La nuova collezione vaticana si arricchì velocemente con l’acquisto sul mercato di molte antichità. Soprattutto, in Vaticano furono trasferite le opere presenti nelle raccolte capitoline, ove affluivano gli oggetti egiziani ed egittizzanti che venivano frequentemente trovati a Roma; in particolare, furono le raccolte dei Musei Capitolini a subire le maggiori perdite. Inaugurata nel 1839, la raccolta vaticana, che prese il nome di Museo Gregoriano Egizio, avrebbe dovuto essere arricchita anche dai risultati di una missione, la Spedizione Romana, che avrebbe dovuto percorrere la Valle del Nilo fino ad Assuan, ma che in realtà non venne mai realizzata.
Nonostante le molte trasformazioni, il Museo, oggi denominato Reparto di Antichità Orientali, conserva ancora molte delle originali decorazioni di soggetto nilotico originali, realizzate in occasione dell’apertura del Museo stesso; sono da ricordare soprattutto quelle nelle sale II, III e IV[7].
Padre Ungarelli, inoltre, fu l’artefice delle iscrizioni celebrative sui due obelischi presenti a Villa Torlonia, fatti erigere nel 1842 dal principe Alessandro in onore dei genitori Giovanni Raimondo (davanti alla facciata principale del Casino Nobile)[8] e della madre Anna Maria (dominante la grande fontana rettangolare sul retro dello stesso Casino Nobile)[9]. I due monumenti son realizzati in granito rosa e misurano entrambi un’altezza di 10,27 metri e un perimetro di base di 4,45 metri.
Entrambi i monumenti presentano le quattro facce decorate con iscrizioni in geroglifico, tradotte in latino sulle basi in travertino e utilizzando le denominazioni dei mesi secondo il calendario egizio.
Questo il testo dedicato a Giovanni Torlonia:
ALESSANDRO TORLONIA DUCA DI CERI FECE ESTRARRE DALLA CAVA DI BAVENO NEL SEMPIONE DUE NOBILI OBELISCHI. / QUESTO OBELISCO È DEDICATO DA ALESSANDRO PRINCIPE DI CIVITELLA CESI A SUO PADRE GIOVANNI GIÀ DUCA DI BRACCIANO, PER RENDERE ETERNO IL SUO NOME IN PATRIA. / L’ANNO 1842, IL MESE DI MESORI IL GIORNO 28 NEL QUALE L’OBELISCO LAVORATO IN GRANITO ROSA FU ERETTO VERSO LA PORTA RIVOLTA A SETTENTRIONE.
Di séguito, invece, la dedica per Anna Maria Torlonia: IL FIGLIO DEL DUCA DI BRACCIANO HA ABBELLITO L’EDIFICIO DI SUO PADRE HA EDIFICATO CASE SONTUOSE, BRILLANTI COME IL SOLE, PER L’ETERNITÀ / CON SINGOLARE MUNIFICENZA IL DUCA ALESSANDRO TORLONIA FECE NAVIGARE I DUE OBELISCHI DAL TICINO SINO A ROMA. / QUESTO MONOLITO VENGA CHIAMATO OBELISCO DELLA FU DUCHESSA ANNA MARIA TORLONIA, FATTO SCOLPIRE DA SUO FIGLIO IN SEGNO DI OMAGGIO. / L’ANNO 1842, IL MESE DI THOT, IL GIORNO 23, FU ERETTO VERSO LA PORTA RIVOLTA A MEZZOGIORNO: CIÒ SIA PER GIORNI SENZA FINE.
Sembra tuttavia che Alessandro volesse acquistare due obelischi originali per i quali, nel 1838, aveva inviato una formale richiesta di acquisto al viceré d’Egitto. Non avendo ricevuto risposta, furono individuate a Baveno, presso il Lago Maggiore, delle cave dalla quali estrarre un granito simile a quello di Assuan.
Dopo l’estrazione, i due monoliti furono trasportati non senza problemi a Roma. Raggiunta Sesto Calende dopo una breve navigazione sul Lago Maggiore, seguìta da un trasporto lungo il Ticino e alcuni navigli, i monoliti arrivarono a Milano, dove subirono un processo di rifinitura, per essere poi reimbarcati su chiatte che, sempre tramite i navigli e il Ticino, raggiunsero inizialmente il Po e, attraverso altri canali navigabili, l’Adige e il Brenta, per terminare finalmente il loro viaggio fluviale a Chioggia e Venezia. Qui fu organizzato il trasbordo sul Fortunato, un bialbero appositamente adattato dalla Marina Pontificia. Nonostante le difficoltà, per le tempeste incontrate lungo le coste dalmate e albanesi, che costrinsero l’imbarcazione a riparare a Durazzo, dopo circa un mese di navigazione la nave raggiunse la foce del Tevere; qui fu agganciata a dei bufali, che la trainarono fino al porto fluviale di San Paolo, dove fu visitata dallo stesso Gregorio XVI. Per raggiungere tuttavia Villa Torlonia, fu elaborato un progetto che prevedeva di risalire il Tevere fino alla confluenza dell’Aniene e, da questa, l’ansa di Sacco Pastore (presso la quale, circa 90 anni dopo, sarebbero stati rinvenuti i resti di alcuni Neanderthal), oggi corrispondente al ponte che consente alla via Nomentana di scavalcare il fiume. Tirata verso la riva, la nave venne trainata da uomini e animali verso la Villa Torlonia: otto giorni per percorrere quattro chilometri!
Il 9 gennaio 1840, l’imbarcazione raggiunse Villa Torlonia con i due obelischi ancora coricati. In questa posizione, vennero scalpellate le epigrafi i cui testi erano stati preparati da Luigi Ungarelli, il quale aveva preso a modello i caratteri presenti sugli obelischi di San Giovanni in Laterano e di Piazza del Popolo. Per consentire ad un più vasto pubblico di comprendere il loro contenuto, i testi vennero tradotti in latino su lapidi poi applicate ai basamenti.
Il 4 giugno 1842, l’obelisco per Giovanni Raimondo Torlonia fu innalzato sulla relativa base alla presenza di una grande folla che riempiva la via Nomentana, del Pontefice Gregorio XVI e del re di Baviera Ludovico I: nonostante l’interruzione delle operazioni a causa di un forte e improvviso temporale, l’attività venne completata nelle ore notturne alla luce di numerose fiaccole e nel tripudio generale. Aerostati furono lanciati nel cielo, illuminato da fuochi d’artificio. Tutta Roma parlò dell’evento e, solamente un mese dopo, anche l’obelisco dedicato ad Anna Maria trovò la sua collocazione definitiva sul basamento su cui lo possiamo ancora oggi ammirare.
Tra i due monoliti in granito, Villa Torlonia ospita il Casino Nobile, ove, al primo piano, è presente una Sala Egizia[10], nella quale sono conservati dei dipinti di Luigi Fioroni con storie di Antonio e Cleopatra, rappresentate in mosaico anche sui pavimenti in marmo bardiglio e bianco. Sulle pareti, sono presenti decorazioni a geroglifici con colonne e finte architetture. Si tratta di un importante esempio di sala decorata secondo la moda egizia, che aveva trovato il suo prototipo nella saletta della Galleria Borghese[11], che ospitava le sculture egiziane o ispirate all’Egitto facenti parte della grande collezione avviata alla fine del XVI secolo dal card. Scipione Borghese. La paternità della progettazione spetta all’architetto di fiducia dei Borghese, Antonio Asprucci, che completò i lavori nel 1782, sessanta anni prima della saletta di Villa Torlonia.
Le tele di Tommaso M. Conca che adornano la Sala Egizia della Galleria Borghese rappresentano scene di caccia sul Nilo ed episodi della vita di Cleopatra e Marco Antonio, mentre nelle quadrature, realizzate da Giovanni Battista Marchetti, sono dipinte le divinità planetarie, tra le quali spicca Urano con le fattezze di Anubis. Tra le altre opere presenti nella Sala vanno ricordate le sculture di epoca imperiale rappresentanti Iside, ed una bella sfinge, realizzata su disegno di Luigi Canina in una data imprecisata anteriore al 1832 (quando è ricordata per la prima volta da Antonio Nibby). Tale sfinge va ad affiancarsi a un esemplare di epoca imperiale per costituire la coppia di animali mitici che, in Egitto, proteggevano gli ingressi degli edifici sacri[12].
L’intero complesso di Villa Borghese vide inoltre l’erezione, a partire dal 1827, di un ingresso monumentale in stile egizio[13], con un portico colonnato il cui colore richiama quello del granito rosso di Assuan. Parzialmente demolito durante l’epoca fascista per consentire l’ampliamento del viale che oggi è dedicato a Fiorello La Guardia, l’edificio presenta, sulla faccia interna, una coppia di leoni apotropaici ispirati a quelli che si trovano ai piedi della scalinata del Campidoglio; sulla faccia esterna si trova, invece una coppia di piccoli obelischi, anch’essi oggetto di un piccolo spostamento all’epoca dell’allargamento della sede stradale.
Con la fine del potere temporale dei Papi, la moda ispirata alla terra dei Faraoni non sembra che venne meno, anche per i ritrovamenti archeologici di materiali egiziani di estrema rilevanza, in particolare nell’area dell’antico Iseo di Campo Marzio, come avvenne il 20 giugno 1883, quando venne portato alla luce un piccolo obelisco di Ramesse II, originariamente collocato a Eliopoli[14]. Quattro anni dopo si decise di collocare l’obelisco, con la dedica ai 548 caduti nella battaglia di Dogali (1887), nel piazzale antistante la facciata della Stazione Termini: il 5 giugno 1887, alla presenza di Umberto I e della regina Margherita, il monumento fu pubblicamente inaugurato nella nuova Piazza dei Cinquecento. Ma, nel 1924, con la risistemazione della piazza, l’obelisco fu spostato nel giardino di Viale delle Terme di Diocleziano, nella posizione che ancora oggi occupa.
Il materiale rinvenuto negli scavi del 1883, con una notevole serie di opere d’arte, tra le quali spicca una bella sfinge dedicata al faraone Amasis (XXVI dinastia)[15], trovò la sua collocazione nei Musei Capitolini [16], che vennero così risarciti delle spoliazioni subìte decenni prima, quando le opere di origine o ispirazione egiziana furono destinate a confluire nel Museo Gregoriano Egizio. La nuova collezione capitolina, curata da Orazio Marucchi, fu inaugurata nel 1907.
I ritrovamenti successivi avrebbero trovato collocazione nelle diverse sedi del Museo Nazionale Romano, in particolare presso le Terme di Diocleziano e Palazzo Altemps.
Nel frattempo, anche alcuni collezionisti privati provvidero a creare nuove raccolte, con oggetti di estrema importanza acquisiti solitamente nel mercato antiquario.
La più importante era quella del barone calabrese Giovanni Barracco, che, nella sua abitazione romana, mise insieme una splendida raccolta di opere delle principali civiltà antiche, comprendente materiale mesopotamico, egeo, fenicio, etrusco, greco e romano[17].
Insieme ai tre busti di Palmira, spicca la raccolta egiziana, con pezzi di altissimo livello. In particolare, di enorme importanza è la sfinge con testa femminile e il cartiglio della regina Hatshepswt[18], della XVIII dinastia. Si tratta di un’opera molto preziosa, in quanto al mondo esiste solamente un altro esemplare di sfinge con testa femminile, presso il Metropolitan Museum di New York.
Barracco morì nel 1914 dopo aver donato, nel 1902, la propria collezione al Comune di Roma, cui fece omaggio anche di un edificio, in Corso Vittorio Emanuele, destinato a ospitarla. Demolito questo nel secondo dopoguerra, la raccolta Barracco ha trovato la sua sede definitiva nel Palazzo della Farnesina ai Baullari, tra Piazza Navona e Campo de’ Fiori.
Per chiudere il nostro percorso nella Roma ottocentesca ed egittizzante, non si può dimenticare il Cimitero Monumentale del Verano, in cui si trova il cosiddetto Tempietto Egizio[19].
Eretto tra il 1880 e il 1906, tale edificio mostra una chiara ispirazione a modelli della tarda architettura templare egiziana, in particolare di epoca tolemaica, con elementi che appaiono ripresi dagli edifici templari di Edfu, Kalabsha e Pselcis. Dopo un lungo periodo di trascuratezza e abbandono, il Tempietto Egizio viene oggi utilizzato per le cerimonie laiche che si tengono nel cimitero romano.
La Belle Époque coincide sostanzialmente con la fine della moda egittofila in tutto il mondo.
Solamente dopo il primo conflitto mondiale, con la scoperta della tomba di Tutankhamon nella Valle dei Re a Luxor, il 4 novembre 1922, la moda egittofila tornerà in auge, soprattutto per quel che riguarderà le arti decorative (ceramiche, oggetti in metallo, lampade), ma con poche applicazioni, a Roma, in àmbito architettonico.
Resta da ricordare l’obelisco dedicato a Mussolini ed eretto nel 1932[20] all’ingresso del Foro Italico, opera che rimanda alla grande cultura del paese del Nilo, ma realizzata con un monumentalismo chiaramente ispirato al mondo della Roma imperiale, rivissuto nell’ottica dell’ideologia mussoliniana.
[1] V. https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:RomaObeliscoQuirinale.JPG.
[2] V. https://it.wikipedia.org/wiki/Obelisco_Esquilino#/media/File:Esquilino_obelisk_-_Piazza_dell’Esquilino_-_Rome,_Italy_-_DSC05678.jpg.
[3] V. https://it.wikipedia.org/wiki/Piramide_Cestia#/media/File:Cimeti%C3%A8re_anglais_de_Rome.jpg.
[4]https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/79/San_lorenzo_in_lucina%2C_leoni_marmorei_del_tempo_di_pasquale_II%2C_1100-20_circa_02.JPG.
[5] Cfr. https://www.researchgate.net/figure/Pinturicchio-and-assistants-Appearance-of-the-Apis-S-vault-1493-fresco-Sala-dei_fig55_303106894.
[6]https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Piazza_dei_Cavalieri_di_Malta_(Rome)?uselang=it#/media/File:Paolo_Monti_-_Servizio_fotografico_(Roma,_1968)_-_BEIC_6330589.jpg.
[7] Cfr. https://www.museivaticani.va/content/museivaticani/it/collezioni/musei/museo-gregoriano-egizio/sala-iv–l_egitto-e-roma.html ; https://www.museivaticani.va/content/museivaticani/it/collezioni/musei/museo-gregoriano-egizio/sala-iii–ricostruzione-del-serapeo-del-canopo-di-villa-adriana/sala-iii–ricostruzione-del-serapeo-del-canopo-di-villa-adriana.html.
[8] V. https://it.wikipedia.org/wiki/File:Roma_Villa_Torlonia_-_obelisco_1.JPG.
[9] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/File:Roma_Villa_Torlonia_-_obelisco_2.JPG.
[10]https://commons.wikimedia.org/w/index.php?title=File:Villa_torlonia,_casino_nobile,_interno,_camera_egizia,_con_pavimento_con_mosaici_di_antonio_e_cleopatra.jpg&oldid=680635846.
[11] V. https://commons.wikimedia.org/w/index.php?title=File:04-_Galleria_Borghese,_Sala_Egizia_-FG04.jpg&oldid=634027869.
[12] Cfr. https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/1201008616.
[12]
[13] V. https://lh3.googleusercontent.com/p/AF1QipO-8myI6A4eOJIZwNR0FvwRLSaZOG1pHkPAHJIy=s680-w680-h510.
[14]https://commons.wikimedia.org/w/index.php?title=File:Obelisco_di_Dogali_ROMA_07_06_2019.jpg&oldid=430951502.
[15] V. https://museicapitolini.org/it/percorsi/percorsi_per_sale/palazzo_nuovo/sala_egizia/sfinge_del_faraone_amasis_ii.
[15]
[16] Cfr. https://museicapitolini.org/it/percorsi/percorsi_per_sale/palazzo_nuovo/sala_egizia.
[17] V. https://www.museobarracco.it/it.
[18] V. https://www.museobarracco.it/it/opera/sfinge-femminile-di-una-regina.
[19] V. https://commons.wikimedia.org/w/index.php?title=File:Verano_-_Tempietto_Egizio_-_lato_orientale.jpg&oldid=592053193
[20] V. https://it.wikipedia.org/wiki/File:Obelisco_Mussolini_1.jpg.