Quando, da semplici turisti, passeggiamo tra le strade dell’antica Pompei, immediatamente lo sguardo viene colpito dalla presenza di scritte sui muri, la cui natura varia dalle semplici insegne di un thermopolium (assimilabile ad un moderno bar con tavola calda) o di una fullonica (equivalente di una lavanderia), sino alle fin troppo evidenti allusioni a ciò che era possibile trovare in un lupanare.
Non si tratta, quindi, di atti rivelatori di scarso senso civico già compiuti nell’antichità, quanto di esempi di un fenomeno che, agli occhi di un cittadino del XXI secolo, sembra invece molto recente: sono forme di pubblicità.
Alle quali artigiani e imprenditori ricorrevano, esattamente come oggi, sfruttando al massimo gli strumenti che le tecnologie dell’epoca mettevano a disposizione. Si trattava quindi di costruire una forma di consenso nei confronti di un’attività d’impresa, di un prodotto, ecc. E non mancavano scritte a favore di cittadini che avevano deciso di impegnarsi nella vita politica e si facevano propaganda elettorale.
Anche se l’affermazione può apparire eccessiva, non è lontano dalla realtà sostenere che, nel momento in cui nasce la scrittura, nasce anche la propaganda, forse addirittura già presente prima dell’elaborazione di questo straordinario strumento.
Già il racconto del Peccato Originale, nel libro biblico della Genesi, ci fa capire il ruolo di persuasore, neanche troppo occulto, che il serpente demoniaco ha assunto nei confronti dei progenitori.
Obiettivo della propaganda, sia essa commerciale, politica, religiosa, filosofica appare essere quindi la persuasione della parte cui essa è diretta.
Quando si cercano tracce o testimonianze su come la questione venisse affrontata nel mondo antico, la prima constatazione che emerge è relativa all’estrema scarsità di documenti, letterari, epigrafici e archeologici che contengano propaganda: a parte qualche allusione in alcune opere letterarie greche, come accade ne Il calzolaio di Eroda[1], autore probabilmente attivo ad Alessandria nel III secolo a.C., in cui il protagonista, di nome Cerdone, mostra i propri prodotti a dei clienti, esaltandone le virtù, sono le iscrizioni sui muri di Pompei a rappresentare una fonte di straordinaria rilevanza non solo per la ricostruzione della vita quotidiana di una città antica di medie dimensioni, quale quella distrutta dalla terrificante eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., ma anche per poter conoscere le modalità con cui venivano messe in atto, nel mondo antico, queste tecniche persuasive.
Non si tratta, tuttavia, della documentazione più antica legata a questo argomento. In effetti, già negli ultimi secoli del II millennio a.C., un papiro egiziano cita un tessitore di nome Hapw, il quale invita i cittadini di Tebe ad aiutarlo nella ricerca di uno schiavo fuggitivo. Accanto a questa richiesta, il tessitore fa apporre una frase pubblicitaria che sembra l’antesignano di alcuni slogan moderni: «Il negozio del tessitore Hapw, dove si tessono le più belle tele di tutta Tebe, secondo il gusto di ognuno»[2]. Il messaggio propagandistico appare quindi chiaro e lampante: Hapw si serve della denuncia dello schiavo in fuga anche per ricordare ai concittadini che i suoi tessuti sono i migliori che si possano trovare in commercio.
Si tratta quindi di una messa per iscritto di ciò che evidentemente era riferito anche a voce, nei dialoghi con i clienti o con coloro che erano interessati ai prodotti in vendita. Di sicuro, infatti, non mancavano i richiami verbali, del tutto simili a quelle urla ripetute e cantilenate ancora oggi udibili nei mercati delle grandi città, e, soprattutto, dei piccoli centri.
In Grecia, ma anche nel mondo punico e romano, i banditori (che in àmbito romano venivano chiamati praecones) usavano accompagnare la vendita di bestiame e schiavi con annunci pubblici spesso in rima[3], riempiendo le agorài o i fori di una grande confusione, che tuttavia conferiva a quei luoghi un’altrettanto grande vitalità. Ma proprio in questi luoghi deputati allo svolgimento dei mercati, in un luogo e in un momento impossibili da definire con precisione, devono essere apparsi marchi, insegne, tabelle di tipologie differenti, che provvedevano a comunicare immediatamente ciò che era trattato nella bottega sottostante.
Il più che probabile utilizzo di insegne in materiali deperibili, legno in primis, rende praticamente impossibile la conoscenza di testimonianze archeologiche anteriori all’epoca romana, per la quale un ruolo importante nella diffusione di notizie fu giocato dagli Acta Diurna Populi Romani, la cui origine è attribuita allo stesso Giulio Cesare a partire dal 59 a.C.
Si trattava di un resoconto quotidiano, stilato da pubblici ufficiali, che ricordava eventi pubblici e privati di particolare rilevanza per la vita sociale dell’Urbe.
Redatto il testo su una tavola imbiancata, chiamata album, gli Acta erano esposti in luoghi pubblici per essere dopo qualche giorno ritirati e conservati negli archivi statali, a disposizione per eventuali ricerche future. La redazione degli Acta proseguì almeno fino all’epoca costantiniana, ma non ne è sopravvissuto alcun esemplare autentico, neanche in stato frammentario.
Il caso di Pompei appare quindi straordinario, date le molteplici testimonianze fornite dai cosiddetti “manifesti”, in realtà scritte realizzate a vernice su un altissimo numero di muri, per quello che riguarda sia la propaganda di tipo politico che quella di tipo mercantile.
Infatti, l’improvvisa distruzione violenta della Città ha consentito di bloccare la vita cittadina in un momento ben preciso e definito che ci consente di vedere come l’ingresso delle botteghe fosse solitamente delimitato da una coppia di pilastri che sorreggevano delle insegne (signa), alcune delle quali presentano delle iscrizioni, altre delle immagini, mentre altre ancora mostrano sia le une che le altre.
In genere, si trovano anche rappresentati degli strumenti del mestiere o un prodotto realizzato nella bottega, con lo scopo di rendere chiare le idee anche a coloro che non sapevano leggere: ad esempio, l’immagine di una capra indicava la presenza di un caseificio o una rivendita di latte; un mulo aggiogato a una macina ci informava che eravamo in presenza di un panificio; un fanciullo preso a frustate era l’inquietante insegna di una scuola.
Altre insegne pompeiane si presentano maggiormente elaborate, come quella di una fullonica, una lavanderia o tintoria per indicare la quale vengono dipinte alcune nicchie con la raffigurazione di una tinozza con un lavandaio intento a schiacciare con i piedi la stoffa, altri che lavano e pigiano i panni, un altro personaggio nell’atto di cardare la lana, e così via, a indicare le diverse fasi delle attività svolte in quegli ambienti; il produttore di capi di abbigliamento Vecilio Verecondo, fa rappresentare i suoi prodotti; un vinaio fa rappresentare Bacco intento a schiacciare grappoli di uva.
Già sono presenti, nelle città vesuviane, anche insegne di taverne intitolate ad animali, in anticipo su una tradizione che avrebbe avuto grande fortuna anche molti secoli dopo, indicando la taberna con il nome dell’animale rappresentato nel signum.
Molto diffusi, a Pompei e, in generale, nel mondo romano erano anche i timbri, i marchi nominativi che indicavano il nome del produttore di determinati oggetti: appartengono a questa categoria i bolli presenti su molti laterizi, che forniscono spesso preziose informazioni non solo sul proprietario della fabbrica, ma anche dati sui periodi e sui luoghi di produzione[4].
Allo stesso modo, alcune impronte di timbri indicavano il contenuto di determinati contenitori, sia in vetro che in argilla, tra i quali vanno ricordati i vasetti che contenevano medicinali o profumi.
Le città vesuviane hanno comunque restituito un’abbondante e importantissima documentazione sulle campagne elettorali che annualmente vedevano coinvolte le amministrazioni cittadine.
Riguardo alle tecniche di ricerca del consenso politico, è certo che si ricorreva alla realizzazione di opere monumentali, organizzazione di feste e spettacoli (spesso a soggetto mitico o celebrativo) da sfruttare a fini propagandistici, ma anche al conio di monete celebrative. Da segnalare, soprattutto, l’organizzazione di spettacoli gladiatorii da tenersi nell’anfiteatro cittadino, generosamente offerti da questo o quell’altro candidato, con lo scopo di accattivarsi il favore degli elettori.
La campagna elettorale prendeva il via nel momento, tra i mesi di gennaio e febbraio, in cui nel foro venivano esposte le liste dei candidati alle cariche, per consentire ai cittadini di conoscere, riconoscere e ricordare i nomi di essi.
Era la fase in cui i muri della città si riempivano di programmata, i progetti elettorali, diffusi in modo capillare in tutto il territorio municipale grazie alla febbrile attività delle squadre composte dai veri e propri scriptores, coadiuvati dagli imbianchini (che dovevano preparare con uno strato di calce la superficie su cui lo scriptor avrebbe dipinto il testo in lettere nere o, più spesso, rosse, alte fino a 30 centimetri[5]), dai lanternai (che, nelle ore notturne, illuminavano l’area in cui dovevano essere realizzate le scritte) e dagli assistenti (ai quali era assegnato il còmpito di portare il necessario per le azioni richieste).
Le squadre così composte iniziavano a “decorare” i muri delle strade più frequentate, senza distinzione tra edifici pubblici e privati, religiosi o profani; addirittura non erano risparmiati neanche i cimiteri; i testi erano di solito molto brevi e sintetici, ricchi di sigle e abbreviazioni.
Generalmente, veniva scritto il nome del candidato, la carica cui aspirava e la sigla OVF (oro vos faciatis oppure oro ut faciatis); più di rado, appaiono manifesti che, sempre in modo assai sintetico, tessono le lodi del candidato, che viene definito come un concentrato di virtù (“galantuomo”, “integerrimo”, “piissimo”, “religiosissimo”, “ha fatto del bene a molti”, “lui solo aiuta gli amici in ogni modo”, “darà il pane buono” e via di questo passo[6]).
La propaganda era spesso organizzata da una sorta di “comitato di quartiere” (vicus), che si muoveva in modo compatto a favore del candidato[7], il quale dal canto suo raramente si esponeva in prima persona. Se non quando era la sua corporazione a prendere posizione, che fosse rappresentante di un gruppo sociale influente, quali i tintori o i lanaioli, o no.
Decisamente rare sono le iscrizioni che riportano un messaggio redatto direttamente dal candidato (“Sono io a chiedere questo”), in qualche caso con dei fedelissimi in accompagnamento (“Valentino con i suoi scolari”), non senza presenze femminili. Le donne, infatti, pur escluse dal diritto di voto, spesso partecipavano attivamente alle campagne elettorali, soprattutto quando svolgevano attività a contatto con il pubblico, prostituzione inclusa, tentando di spingere gli indecisi a prendere una posizione netta.
Alcuni di questi programmata rivelano anche una certa cultura di base da parte degli scriptores, visto che, ad esempio sono presenti dei distici con la parafrasi di noti componimenti poetici, opera di autori celebri, anche utilizzando raffinate figure retoriche, quali chiasmo, parallelismo e allitterazione, che conferiscono al testo una certa dignità letteraria[8].
Tornando indietro nel tempo e nello spazio, non si può non fare un cenno su quel particolare fenomeno della politica ateniese chiamato ostracismo[9], entrato in vigore dopo le riforme di Clistène e che trovò grande applicazione nel V secolo a.C.
Si trattava di una vera e propria propaganda negativa nei confronti di nemici politici, accusati generalmente di corruzione, i quali, tramite il voto popolare, potevano essere esiliati anche per dieci anni per evitare una eccessiva personalizzazione del potere[10].
Tirando quindi le somme di questo veloce sguardo sulla tematica della propaganda nel mondo antico, va sottolineato il fatto che ogni tentativo di approfondimento trova un grave ostacolo nella scarsità di dati sia letterari che archeologici.
Tuttavia, “scarsità” non è sinonimo di “assenza”.
Il poco materiale a nostra disposizione apre uno squarcio, magari piccolo nelle dimensioni, ma di grande importanza per comprendere la presenza, anche in epoche remote, di strategie di persuasione del cliente, o possibile tale, che di certo sono imparentate con quelle utilizzate in àmbito politico, che in determinati contesti non è errato definire imperialistico, con narrazioni e rappresentazioni monumentali dei grandi trionfi militari che tendevano a esaltare la figura di sovrani o generali, comunicandone il valore e la qualità delle loro imprese.
In piccolo, le insegne commerciali avevano una funzione non dissimile, avendo lo scopo di comunicare con immediatezza le virtù di un prodotto o le capacità di un artigiano o commerciante.
La poca disponibilità di documenti appare quindi un ostacolo rilevante, ma non insormontabile, consentendo di porre le basi per nuovi àmbiti di ricerca che successive scoperte archeologiche, in un futuro possibilmente prossimo, potranno arricchire di contenuti, fornendo nuove informazioni su un argomento solo apparentemente di secondo piano negli studi antichistici[11].
NOTE
[1] V. https://it.wikipedia.org/wiki/Eroda.
[2] Cfr. https://www.agpubblicita.net/storia-della-grafica-pubblicitaria-antica-dal-secondo-millennio-avanti-cristo/.
[3] Cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/pubblicita_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/.
[4] V. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Volterra,_bolli_laterizi_romani_05.JPG.
[5]https://commons.wikimedia.org/w/index.php?title=File:Pompei,_iscrizioni_in_Via_dell%27Abbondanza_(dipinto).jpg&oldid=694595016.
[6] V. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pompei,_via_dell%27abbondanza,_affreschi_e_iscrizioni.jpg.
[7] La parola “candidato” deriva dal candore, dovuto a un bagno di calce, della veste usata dai cittadini nelle occasioni pubbliche.
[8] Cfr. A. Abruzzese, F. Colombo, voce Antichità, in Dizionario della pubblicità, Zanichelli, Bologna 1994, pp. 18-20.
[9] Ostracismo è un vocabolo che discende dal greco òstracon, “coccio”, il frammento ceramico sul quale i cittadini incidevano il nome del personaggio da condannare all’esilio.
[10]https://commons.wikimedia.org/w/index.php?title=File:Athen_Stoa_Ostrakismos_2.jpg&oldid=541870896.
[11] In anni recenti, un primo tentativo di affrontare in modo approfondito l’argomento, con particolare riferimento al mondo greco, è costituito dal volume, curato da Francesco De Martino, Antichità & Pubblicità, Levante Edizioni, Bari 2010.