Molti hanno scritto sui manifesti pubblicitari, ma in breve si vuole qui evidenziare come i manifesti siano connessi con l’arte, se non sono arte loro stessi.
Sovente gli artisti ed i pittori hanno adottato questo mezzo di comunicazione col pubblico creando un’originale forma di espressione: che consente di far conoscere ad una vasta platea le loro opere, nel contempo esaltando un prodotto per invogliare al suo acquisto.
I manifesti, come si dirà meglio in prosieguo, sono serviti anche per creare uno stile artistico nuovo, si pensi a Mario Rotella, che componeva le sue opere prendendo e mischiando strappi di manifesti pubblicati altrove.
I manifesti sono stati ispirazione per altre composizioni artistiche: Warhol, per esempio, si è servito di prodotti commerciali (della Coca Cola, fra gli altri) per creare un nuovo linguaggio costituente non più ‘manifesto’, ma opera d’arte.
Appare, quindi, utile indicare quali siano i manifesti pubblicitari e come e quando siano apparsi nella nostra società.
Va, innanzitutto, premesso che per pubblicità si intende una forma di comunicazione.
In italiano il termine deriva da ‘pubblico’, ovvero riguarda il popolo: lo scopo è quello di informare la popolazione.
Precisamente, attraverso questa forma di comunicazione, si cerca di stimolare le persone a adottare un certo comportamento che può essere l’acquisto di un qualcosa (pubblicità commerciale), l’adesione ad un partito o una idea politica (propaganda politica), la divulgazione di finalità socialmente rilevanti (pubblicità sociale).
La più diffusa e diciamo invadente è la pubblicità commerciale, che ormai ti martella in ogni dove al fine di invogliarti all’acquisto di un prodotto.
Il cittadino non può leggere una rivista, sentire la radio, guardare un programma in televisione, camminare per strada senza essere bombardato da messaggi, figure, siparietti televisivi, cartelloni che lo portano in una girandola ossessiva con lo scopo di condizionare i suoi acquisti.
Per non parlare dei servizi di rete, dei siti web, dei social (Facebook, Instagram, ecc.), che sono infarciti di messaggi pubblicitari e non consentono di accedere sùbito e liberamente ad un argomento o ad una notizia.
È evidente quindi che gli eccessi fanno male, e che le Autorità, nei vari Paesi, sono dovute intervenire per effettuare un controllo regolamentato sia sul contenuto della pubblicità (non pornografia, non violenza, non significati sottintesi come nella pubblicità ingannevole) sia sulla forma (non modalità diffamatorie, non slogan sleali, ecc.), mentre anche i Tribunali possono essere investiti di còmpiti di controllo e sanzione.
Va precisato, comunque, che nei paesi cosiddetti ‘liberi’ il controllo viene esercitato a posteriori per non apparire una forma vera e propria di censura.
La pubblicità, in ogni caso, ha una rilevanza storica.
Le sue origini sono antiche, si pensi ai messaggi sui muri ritrovati negli scavi di Pompei, messaggi che invitavano a votare un certo personaggio, messaggi che indicavano due prostitute a buon prezzo in una strada o indicavano, in alcune insegne, le fasi di lavorazione della stoffa per dimostrare la qualità di questa.
La più pregnante pubblicità nasce però con l’invenzione della stampa.
Infatti, nel 1479 un tipografo britannico di nome William Caxton pensa di diffondere un opuscolo per far conoscere le sue pubblicazioni, e già all’inizio del Cinquecento cominciano a circolare nel Continente dei volantini, mentre il 17 ottobre 1482 Jean du Pré crea a Reims il primo manifesto.
Così, nel Seicento, in Germania, Olanda Francia, Inghilterra, nonché nella Gazzetta di Genova, si trovano annunci pubblicitari.
Con la rivoluzione industriale si ha un aumento delle merci e si impone, di conseguenza, un tipo di pubblicità che si serve di disegnatori, artisti psicologi, tanto da divenire un’industria fiorente. Non si può nascondere, quindi, che la pubblicità assuma un aspetto interessante che merita di essere valutato allorché, per attuare il suo messaggio commerciale, adotti mezzi culturalmente importanti come l’Arte visiva e coinvolga artisti di pregio con la loro creatività.
Posto che la pubblicità si estrinseca in vari modelli, appare, quindi, affascinante considerare le connessioni con l’arte e con gli artisti tanto che la pubblicità si nobilita attraverso questi interventi e diventa essa stessa Arte.
Come s’è detto, con il processo di industrializzazione, nasce l’esigenza di attirare l’interesse delle nuove classi sociali appartenenti alla borghesia sulla produzione in serie delle merci al fine di invogliarle all’acquisto.
Il manifesto è il mezzo più idoneo.
Il manifesto pubblicitario è un foglio di carta stampata che viene posto in luoghi pubblici alla vista di più gente possibile e che nella sua conformazione deve attirare l’attenzione immediata con figure, colori, scritte invoglianti verso un determinato prodotto.
La diffusione di spettacoli teatrali, cabaret e di locali di spettacolo in genere nelle grandi città come Londra e Parigi porta a pubblicizzare questi eventi con manifesti nelle strade cittadine.
Si evolve la stampa, in quanto viene scoperta la ‘cromolitografia’, tecnica che consente di eseguire disegni a colore su carta adottando matrici di pietra.
Uno dei primi tipografi che lavorarono sui manifesti fu Jules Cheret, che si servì della litografia trasformando anche gli stili dell’epoca, in quanto preferì servirsi di ‘figure femminili’ per realizzare la pubblicità. Graziose dame in abiti eleganti raffigurate con stile pittorico presero a popolare i muri di strade e piazze per reclamizzare spettacoli, concerti e locali notturni.
La presenza di figure femminili nella pubblicità era influenzata dalle correnti artistiche dell’800 ed in particolare dal Romanticismo nell’arte pittorica: era l’epoca in cui Manet dipingeva la Colazione sull’erba.
Anche se il manifesto pubblicitario necessariamente doveva semplificare la composizione figurativa, servendosi di colori senza sfumature e privilegiando l’atto segnico, era comunque una rappresentazione che si avvicinava ad una vera e propria elaborazione d’arte.
E gli artisti si impossessarono di questo mezzo di espressione.
A Parigi Toulouse-Lautrec attirava il pubblico con le sue ballerine del Can-can; lui e Leonetto Cappiello, italiano trapiantato nella città francese, realizzarono allora opere rimaste nella Storia.
In particolare, nel 1900 Cappiello diventa cartellonista e si allontana dallo stile di Cheret per adottare uno stile ispirato alla corrente espressionista ed ai fauves. Non per niente veniva da una esperienza di pittore e come tale aveva esposto in Italia prima di stabilirsi in Francia.
In lui vediamo realizzata già la commistione di arte pittorica e cartellonistica. Egli, infatti, si allontana dai canoni estetici adottati da Cheret e dall’Art Nouveau per avvicinarsi e dar vita ad uno stile del tutto innovativo.
Cappiello abbandona una precisa visione realistica per appoggiarsi ad una rappresentazione fortemente coloristica: cambia il punto di vista della figura per slanciarla e renderla prevalente nel contesto figurativo. Il manifesto Chocolat Klaus dimostra queste innovazioni stilistiche; per vero, il riprendere la figura dal basso è tuttora un espediente seguìto soprattutto nelle fotografie della moda.
Cappiello nei manifesti si serve per la prima volta di immagini non direttamente connesse con il prodotto da pubblicizzare, ma adotta figure simboliche facilmente riconoscibili, che si imprimono nell’immaginario del pubblico e che diventano inscindibili dal prodotto stesso, individuato proprio in base alla figura rappresentata. Su sfondo scuro Cappiello fa risaltare la figura adottando colori brillanti, lo stile si differenzia dal precedente decorativismo per essere più sintetico, con colori piatti, sfondi uniti e figure in primo piano poste nello spazio (si noti la grafica del Chocolat Klaus, datato 1904, ed il manifesto per la Cinzano del 1910).
Cappiello rimane sempre un pittore e le sue espressioni nel campo pubblicitario risentono dell’espressionismo e dei fauves. Va, infatti, rilevato che la cromolitografia, tecnica di stampa ottenuta per sovrapposizione di immagini di colore diverso incise su pietre diverse, ognuna per colore, consente di realizzare stampe multicolori e dà agli artisti la possibilità di creare forme originali, dai vivaci colori di impatto immediato per il pubblico. Questo sarà il mezzo tecnico che verrà adottato per i manifesti pubblicitari: e che creerà un nuovo linguaggio grafico.
Non potendoli menzionare tutti, si preferisce incentrare l’attenzione sui cartellonisti in Italia.
A questo punto necessariamente occorre considerare il Movimento futurista, che contribuì molto a ideare un nuovo modo di fare pubblicità. Per di più, con esso l’arte viene collegata alla comunicazione pubblicitaria.
Secondo il movimento fondato da Marinetti, l’opera d’arte non doveva essere confinata solo nei Musei, ma doveva andare incontro al pubblico e svolgere una funzione di propaganda.
Nasce così uno stile di manifesto con colori molto vivaci a stesura piatta, con scritte con caratteri tipografici a larga stesura, con figure stilizzate in perenne movimento. Le Macchine, l’uomo sportivo forte, la velocità, sono temi trasfusi nella pubblicità (si ricordi per tutti Depero, nella pubblicità Se la pioggia fosse di Bitter Campari).
Proprio Depero rappresenta al meglio questa espressione del manifesto.
Depero, lavorando a Roma con Balla, esprime insieme a lui le proprie idee sintetizzandole nel manifesto intitolato Ricostruzione futurista dell’universo.
I due artisti si ponevano come scopo di realizzare un’arte che si manifestasse in tutti gli aspetti della vita quotidiana, e questo anche con l’apporto della pubblicità. Depero, infatti, lavorò molto nella pubblicità, creando manifesti per marchi famosi: i suoi manifesti per l’acqua minerale San Pellegrino, per il liquore Strega della ditta Alberti, per le matite Presbìtero ancora oggi rimangono nell’immaginario collettivo.
Sorvolando le epoche e arrivando agli anni ’50, dopo che il manifesto era servito a scopi politici e di propaganda, torniamo a considerare il manifesto come mezzo di pubblicità commerciale dei nuovi prodotti nati dopo la guerra, quali la carne in scatola e i televisori.
Nasce quindi ancora una volta un nuovo linguaggio pubblicitario con la nascita della RAI. La ideazione di Carosello è un modo nuovo di presentare i prodotti attraverso una forma di teatrino che si serve di attori anche famosi.
Tra gli autori di manifesti più noti ricordiamo Armando Testa, che inventa personaggi per molti ancora nella memoria quali Caballero e Carmencita (pubblicità per il caffè Paulista della Lavazza), il manifesto per l’aperitivo Punt e mes della Càrpano, fatto con una sfera e una mezza sfera sospese a rappresentare un ‘punt e mes’. Ancora, va ricordato l’elefante con la ruota fatto per gli pneumatici Pirelli. I manifesti sono iconici, con colori piatti incentrati sulla figura rappresentativa del prodotto da reclamizzare.
Nel 1977 chiude Carosello ma continua la cartellonistica pubblicitaria supportando le reclame televisive.
Fiorisce una pubblicità particolare, scioccante, con Oliviero Toscani, che attraverso i suoi manifesti vuole denunciare e dissacrare.
I manifesti toccano argomenti sociali, e Toscani si rivolge al pubblico considerandolo non più massa da imbonire per l’acquisto di un prodotto, ma gente pensante che deve, attraverso il manifesto, prendere atto di alcuni problemi sociali.
Toscani, pur reclamizzando un prodotto, pone l’accento su problemi urgenti della società, anche scioccando chi guarda. Toscani si serve di foto per i suoi messaggi pubblicitari.
Siamo arrivati all’epoca odierna ed i Manifesti pubblicitari ci sono ancora.
Sono però cartelloni per lo più all’aperto, applicati ai mezzi pubblici in movimento o sormontati in grande, a lato delle strade.
Mentre continua a crescere la pubblicità sul web, ma che tecnicamente è diversa.
I Manifesti che incontriamo per strada sono grandi pannelli issati su pali e persino su edifici, coprono facciate di case da ristrutturare che si servono della pubblicità per nascondere i lavori in corso. Sono stampe ingrandite su pellicola in PVC e che prevalentemente portano l’attenzione su volti e figure femminili; sono strutturati in maniera da garantire il massimo di visibilità.
Non possiamo negare che siano cartelloni ben elaborati e composizioni anche originali, che possano avere un loro lato artistico. Ma quei Manifesti che un tempo sembravano quadri non ci sono.
Rimane importante invece l’apporto di grandi artisti quali Warhol o Rotella.
In questi artisti ci sembra, tuttavia, che la pubblicità sia un mezzo e non un fine della loro produzione, in quanto essi si servono dei prodotti che stanno sul mercato per elaborare le loro opere.
Warhol si servì della Coca Cola, ad esempio, per creare un nuovo linguaggio in cui la pubblicità crea arte.
Rotella invece si servì del manifesto per ricomporre una opera nuova con i residui stessi del manifesto strappato.
Un’idea di quello che sono stati i manifesti nel tempo e quelli che sono stati gli stili e gli artisti che li hanno composti, si può avere visitando il Museo nazionale Collezione Salce a Treviso.
Ferdinando Salce era un signore appassionato dei manifesti illustrati, che cominciò a collezionarne sin dal 1895 fino ad arrivare a possederne circa 25.000, che, alla sua morte, lasciò allo Stato italiano. In questa collezione troviamo i più illustri artisti in campo nazionale, quali Cappiello, Boccasile, Aleardo Terzi; e non mancano artisti quali Mario Sironi, Duilio Cambellotti, Lucio Fontana.
Tutti i manifesti raccolti testimoniano anche le varie tecniche adottate come la suddetta cromolitografia, e poi la zincografia, l’offset ed i procedimenti di stampa fotomeccanica.
In conclusione, i manifesti pubblicitari non hanno soltanto esaltato un prodotto per incentivarne la vendita: hanno assunto un valore particolare in quanto, siccome elaborati da veri artisti e pittori, hanno contribuito all’evoluzione delle espressioni artistiche.
È vero, dunque, che la pubblicità ha dato il suo contributo all’Arte.
Riferimenti e Ricerche:
La foto in copertina “Pannello ingresso Santa Margherita1” si trova sul sito Wikimedia commons
S. Cantavalle, in www.pixartpring.it, 30 luglio 2019;
V. Codeluppi, Storia della pubblicità italiana, Carocci, Roma 2013;
M. Galdenzi, Evoluzione della Pubblicità, Appunti di tecnica della comunicazione pubblicitaria, dispense redatte ad uso degli studenti del Corso di Laurea di Scienze della Comunicazione, Anno accademico 2004/2004, in http://www.delcos.it; Archivio di stato di Lucca, La storia dei manifesti pubblicitari, in http://archiviodistatoinlucca.it