Entro in un negozio o supermercato di alimentari (foods come si dice adesso) e sono assalito da marchi, etichette, indicazioni varie che reclamizzano i singoli prodotti lasciandomi spesso perplesso e impreparato. Cosa significano, quale qualità indicano, quali garanzie mi danno ?
Il sistema dei marchi e delle etichette e delle frasi di pubblicità è in verità assai complesso ed in parte regolato da legislazione comunitaria e nazionale, oltre che, tanto per fare un altro po’ di confusione, da leggi regionali e norme locali. Nonostante questa abbondante normativa, restano però alcune zone d’ombra ove le ditte produttrici di alimenti, solitamente collegate a gruppi finanziari internazionali, possono operare, sul filo della norma (ed talvolta anche sconfinando). Qui di séguito partiremo, comunque, dal concetto che quanto scritto in etichetta corrisponda a verità e non venga perpetrato il reato di frode in commercio o frode alimentare (alcune ditte sono oggi sotto processo penale con imputazioni di questo tipo).
Per uno studio, anche superficiale, sulle varie indicazioni che compaiono sule confezioni degli alimenti, dobbiamo innanzitutto suddividere in categorie i vari marchi, simili diciture, ecc., iniziando da quelli che sono obbligatori per legge per passare poi ai marchi di tutela e qualità fino alle indicazioni di pubblicità, che non deve essere ingannevole o comparativa.
Cardine dell’etichettatura degli alimenti conservati è il REGOLAMENTO (UE) N. 1169/2011 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 25 ottobre 2011, corposa raccolta di norme che in sostanza si possono riassumere come segue:
– ogni etichetta di prodotto alimentare confezionato posto alla vendita al pubblico deve contenere, nel “campo visivo principale” come minimo, queste indicazioni:
(Articolo 9)
a) la denominazione dell’alimento;
b) l’elenco degli ingredienti;
c) qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata;
d) la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;
e) la quantità netta dell’alimento;
f) il termine minimo di conservazione o la data di scadenza;
g) le condizioni particolari di conservazione e/o d’impiego;
h) il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare;
i) il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto;
j) le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento;
k) per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo;
l) una dichiarazione nutrizionale.
Queste indicazioni debbono essere espresse in parole e numeri, ovviamente nella lingua ufficiale del paese di vendita anche se non osta la presenza di altre lingue, e possono essere integrate (e talvolta sostituite) da pittogrammi o simboli. Le indicazioni devono essere facilmente e chiaramente leggibili ed indelebili, nonché nello stesso spazio visivo.
Elenco degli ingredienti.
L’elenco degli ingredienti, basilare per permettere al consumatore di avere contezza di quanto acquista, comprende tutti gli ingredienti dell’alimento, in ordine decrescente di peso, così come registrati nel momento del loro uso nella fabbricazione dell’alimento. Ed importanti sono anche (oltre a tutte le altre) le condizioni di conservazione ed uso (quali mantenere in frigo a 4°, non esporre alla luce solare, ecc.).
La provenienza, o meglio l’indicazione del paese d’origine dell’alimento è spesso fonte di confusione, tentativi di mascheramento, fuorvianti indicazioni ed infine frode in commercio.
L’indicazione del paese d’origine non è richiesta per mero campanilismo e non è affatto inutile, soprattutto se ci si pone in un’ottica nazionalistica (“i nostri prodotti sono sempre migliori di tutti gli altri”: ERRATO!!!): conoscendo il paese d’origine, infatti, il consumatore acquirente può valutare anche gli standard di sicurezza di quel prodotto. Invero è necessario precisare che tutti i prodotti alimentari che entrano nella U.E. debbono (dovrebbero) possedere i requisiti minimi previsti da mercato interno. È pur vero, però, che i controlli alle frontiere non sempre sono continui ed attenti (si pensi alle migliaia di tonnellate di alimenti che si importano ogni giorno), e pertanto, tra le maglie del primo controllo può certamente filtrare qualche cosa che doveva essere trattenuto.
Il regolamento U.E prevede per «luogo di provenienza» il sito da cui proviene l’alimento, che non è necessariamente il «paese d’origine»; il richiamato regolamento CE n. 2931/92 statuisce infatti all’articolo 23:
1. Sono originarie di un paese le merci interamente ottenute in tale paese.
2. Per merci interamente ottenute in un paese s’intendono:
a) i prodotti minerali estratti in tale paese;
b) i prodotti del regno vegetale ivi raccolti;
c) gli animali vivi, ivi nati ed allevati;
d) i prodotti che provengono da animali vivi, ivi allevati;
e) i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate;
f) i prodotti della pesca marittima e gli altri prodotti estratti dal mare, al di fuori delle acque territoriali di un paese, da navi immatricolate o registrate in tale paese e battenti bandiera del medesimo;
g) le merci ottenute a bordo di navi-officina utilizzando prodotti di cui alla lettera f, originari di tale paese, sempreché tali navi-officina siano immatricolate o registrate in detto paese e ne battano la bandiera;
Il regolamento U.E. 1169/2011 non è del tutto chiaro su quale “paese” debba essere indicato in etichetta, in quanto potranno esserci diversità tra il luogo d’origine e il luogo di provenienza. Inoltre, nella traduzione in italiano della norma viene indicato il termine “paese” senza precisare cosa in effetti questo rappresenti. Secondo l’accezione più comune, col termine paese si intende infatti: 1) un piccolo centro abitato, e non è il nostro caso, 2) un territorio politicamente e giuridicamente indipendente, che è il nostro caso. Ma a questo punto sorge una domanda: gli Stati Uniti d’America come gli Stati Uniti del Messico, sono un unico “paese” o con tale termine deve identificarsi solamente ogni singolo stato che li compongono, quali California, North Dakota, Yucatan ecc. ??? L’Unione Europea è un unico “paese” o è composta da oltre una ventina di stati e quindi di “paesi “diversi”??? Io non so rispondere, e la domanda non è di poco conto: attualmente è pendente una causa per frode in commercio che è basata in parte sull’interpretazione di tale definizione.
Per alcuni prodotti è possibile indicare anche unicamente “Prodotto U.E.” o “Prodotto extra U.E.”, ed anche “Prodotto in U.E. ed extra U.E.”.
Orbene, considerando che la U.E. è una realtà che si estende dal Tropico del Cancro ad oltre il Circolo Polare Artico e dall’Oceano Atlantico ad oltre il Danubio, è dubbio che la dizione “Prodotto in U.E.” possa dare soddisfacenti indicazioni circa la provenienza. Risulta a tale proposito che il Governo italiano e le associazioni di categoria si stiano battendo per una indicazione di provenienza che indichi il singolo Stato.
Se già la lettura delle indicazioni di cui al regolamento U.E. sulla etichettatura è difficile e ci lascia alcune zone d’ombra, più complicato è orientarsi tra i vari marchi che appaiono sulle confezioni.
Anche in questo caso alcuni di questi sono frutto di precise indicazioni regolamentarie europee o nazionali, altri invece sono puro frutto di fantasia, capace però, spesso, di confondere l’acquirente.
Vediamo i marchi di qualità italiani per i prodotti agroalimentari. Che si riferiscono in maggior parte ai vini ed in alcuni casi si doppiano con i marchi europei facendo, ovviamente, confusione.

DOC – DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA
Il marchio DOC viene attribuito ai vini prodotti in zone delimitate. Di norma, il nome del vitigno segue quello della Doc e il disciplinare di produzione è piuttosto rigido.
IGT – INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA
Questa categoria comprende i vini prodotti in determinate regioni o aree geografiche , ma non indica necessariamente che il prodotto è originario di tali aree.
DOCG – DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
È un marchio che viene attribuito ai vini DOC, riconosciuti tali da almeno cinque anni, di “particolare pregio qualitativo” È il marchio più prestigioso per i nostri vini
PAT – PRODOTTI AGROALIMENTARI TRADIZIONALI
Rappresentano un biglietto da visita dell’agricoltura italiana di qualità. Con il termine indicato s’intendono quei prodotti agroalimentari le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultano consolidate nel tempo, omogenee per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni.
MARCHI DI QUALITÀ EUROPEI
I marchi di qualità europei sono certificazioni di prodotto riconosciute agli alimenti dall’Unione Europea, che vengono rilasciate da enti di certificazione individuati dal Ministero delle Politiche Agricole. Sono molto importanti, perché garantiscono al consumatore la provenienza originale del prodotto e/o che il processo di produzione avviene secondo modalità legate a una tipicità territoriale nel rispetto del disciplinare che regola il marchio di qualità.
DOP – DENOMINAZIONE D’ORIGINE PROTETTA
Il marchio designa un prodotto originario di una regione e di un paese le cui qualità e caratteristiche sono essenzialmente, o esclusivamente, dovute all’ambiente geografico (fattori naturali e umani). Tutta la produzione, la trasformazione e l’elaborazione del prodotto devono avvenire nell’area delimitata.
IGP – INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA
Questo marchio introduce un nuovo livello di tutela qualitativa che tiene conto dello sviluppo industriale del settore, dando più peso alle tecniche di produzione rispetto al vincolo territoriale. Questo marchio di qualità identifica quei prodotti alimentari che, seppur caratterizzati da un legame con il territorio di origine, in realtà possono essere prodotti anche in altre zone e territori.
STG – SPECIALITÀ TRADIZIONALE GARANTITA
Questo marchio viene riconosciuto a prodotti la cui “specificità” non è legata a un’area geografica, ma a metodi di produzione e/o trasformazione tradizionali. I produttori interessati, devono rispettare la ricetta tradizionale senza nessun vincolo per il reperimento delle materie prime e il luogo di fabbricazione.
BIO – AGRICOLTURA BIOLOGICA
I consumatori che comprano i prodotti che portano il logo europeo BIO possono essere certi che almeno il 95% degli ingredienti sono stati prodotti con metodo biologico, in modo conforme alle regole del piano ufficiale di ispezione. Il prodotto biologico proviene direttamente dal produttore o è preparato in una confezione sigillata, porta il nome dell’addetto alla lavorazione, del produttore o del venditore e il nome del codice dell’organismo di ispezione.
Il marchio del BIO è stato recentemente modificato e in tutta la U.E. attualmente quello in uso è rappresentato da una foglia disegnata dalle 12 stelle dell’Unione.

È importante precisare che, contrariamente al comune pensare, non è detto che i prodotti BIO siano più saporiti degli altri, anzi, talvolta è vero il contrario. I prodotti BIO debbono rispettare, per essere messi in commercio le indicazioni precise del Regolamento (UE) n. 2018/848 – Norme relative alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici. Questa normativa prevede, tra l’altro che le coltivazioni siano sostenibili, il non uso di prodotti chimici per la fertilizzazione, in non uso di organismi geneticamente modificati, il benessere degli animali, il limitato (limitatissimo, ma non zero) utilizzo di prodotti per la difesa delle culture.
Le aziende che intendono produrre alimenti a marchio BIO debbono presentare richiesta ad un ente certificatore autorizzato dal Ministero dell’Agricoltura e sottostare alle ispezioni di questo. Su ogni confezione dovrà essere riportato il nome dell’ente certificatore.
Al fine di scoraggiare truffe o raggiri il regolamento precisa anche che: “nell’etichettatura e nella pubblicità non sono utilizzati termini, compresi quelli impiegati in marchi o denominazioni di società, o pratiche che possano indurre in errore il consumatore o l’utente suggerendo che un prodotto o i suoi ingredienti siano conformi al presente regolamento”.
Ed anche in questo caso ci troviamo di fronte a zone grigie: alcune società utilizzano infatti loro marchi, un po’ simili a quelli del BIO, ma sufficientemente diversi per non cadere in contrasto, e creano nomi di fantasia che possono avere collegamenti con la natura, con la limitazione dei pesticidi (i limiti di questi sono già ben definiti per legge), con il rispetto del territorio e così via.
Sulle confezioni poi troviamo altre indicazioni.
Per le carni è necessario che sia indicato: il paese di nascita, di allevamento e di macellazione dell’animale e dove esso è stato sezionato; per il pollame: se è stato allevato a terra; ma anche quanto altro la fantasia del pubblicista possa studiare per influenzare (o confondere) l’acquirente.
Infine, cosa comprare ?
Non so rispondervi, ma mi permetto alcuni consigli:
1) non facciamoci prendere da ingiustificati nazionalismi e campanilismi; certamente la pasta prodotta da grani duri del Tavoliere sarà migliore di altra, ma carni tedesche o danesi come il latte francese non sono certamente inferiori come qualità e sapore alle nostre produzioni;
2) i prodotti biologici sono certamente più controllati rispetto agli altri, ma non sempre sono tutti disponibili; hanno un costo (assai) più elevato e non ritengo che abbia senso consumare una parte in prodotti BIO ed una parte in prodotti convenzionali;
3) diffidate delle produzioni vendute sui banchetti e mercati con indicazioni come “ prodotto del contadino, ecc.”, che non significano niente e che spesso sono frutto di imbrogli;
4) più grandi sono gli organismi di vendita e, solitamente, maggiore è la loro serietà. Le grandi società della Distribuzione Organizzata (G.D.O.) non possono permettersi di rovinare la loro reputazione con prodotti non corrispondenti agli standard di legge ed hanno loro laboratori di verifica ed analisi a sussidio ed integrazione di quelli pubblici;
5) ed infine, ricordiamo il vecchio detto latino “bevi quello di cui hai sete”, trasformandolo in “mangia quello che più ti piace senza curarti eccessivamente di tutti gli sforzi che le pubblicità fanno per indurti ad un acquisto”.
BUON APPETITO!