LA PUBBLICITÀ INGANNEVOLE E IL RUOLO DELL’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO di Ludovica Boccacci

by Lilibeth

«[…] Non siamo monaci austeri, sappiamo che gli abbellimenti fanno parte della natura, che vis persuasiva e fantasia sono ingredienti non solo necessari, ma auspicabili della pubblicità. E tuttavia ha da esserci poi un succo fatto di informazioni e non di fandonie, generatore di aspettative che hanno una più che ragionevole possibilità di essere soddisfatte dal bene o dal servizio reclamizzato. E spesso, troppo spesso non è così.»[1].

Sebbene il fenomeno della pubblicità quale forma particolare di comunicazione e promozione di un prodotto abbia origine in tempi remoti[2], in àmbito giuridico il termine pubblicità appare per la prima volta in Italia alla fine dell’Ottocento per merito di Eugenio Barsanti, che in alcuni suoi studi rilevava le lacune della legislazione di fronte al fenomeno della “pubblicità commerciale”.

La pubblicità rappresenta indubbiamente uno degli elementi che compongono l’economia moderna; proprio per questo, è necessario, anche nell’interesse dei consumatori, garantire che essa svolga in modo corretto la propria funzione di comunicazione e promozione.

Nell’epoca della globalizzazione, della libertà di circolazione dei beni, servizi, capitali e persone, il consumatore è costretto quotidianamente a fronteggiare innumerevoli disservizi e fenomeni ingannevoli che incidono sulla sua capacità di agire ed orientare consapevolmente le scelte di natura economica[3].

Si tratta di un tema di interesse legale sotto diversi profili.

Da una parte la sfera del diritto penale, con le fattispecie che ruotano intorno al mendacio, all’alterazione della realtà, all’inganno; dall’altra la sfera del diritto privato, per le possibili ripercussioni che la realizzazione di un reato può avere sulla validità e sull’efficacia del contratto ai sensi delle regole civilistiche sui vizi del consenso previste agli artt. 1427 ss. c.c.

Tra questi due pilastri, tuttavia, si è inserito negli ultimi decenni un terzo filone normativo che, sorto in origine sotto la spinta comunitaria per disciplinare la materia della pubblicità ingannevole, oggi è inserito all’interno del Codice del consumo sotto l’espressione più ampia di “pratiche commerciali scorrette”. Tuttavia, se tale espressione costituisce oggi l’approdo della normativa giuridica in tema di pubblicità ingannevole, non può non esser fatta una breve digressione sull’evoluzione della legislazione in materia.

Nel nostro Paese, le prime norme in tema di pubblicità ingannevole risalgono agli anni Venti del ’900 e prevedevano perlopiù il ricorso alla censura preventiva dei messaggi pubblicitari, limitata peraltro ad alcuni settori merceologici.

Il vero primo e forte impulso allo sviluppo della materia è stato dato dalla Comunità Europea, attraverso l’adozione nel 1984 della Direttiva 84/450/CEE, che stabiliva i princìpi generali in materia di pubblicità ingannevole ai quali uniformarsi. L’Italia ha dato attuazione alla Direttiva Comunitaria adottando il d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, e l’incarico di applicazione del decreto è stato affidato all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, istituita con la l. 10 ottobre 1990, n. 287, per l’applicazione della normativa antitrust[4].

Il Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), si è poi proposto di coordinare l’intera materia, ponendo alla base dell’impianto un assunto fondamentale, quello dell’asimmetria informativa che caratterizza il rapporto di consumo tra il consumatore e il professionista.

Da ultimo, il Codice è stato innovato in séguito al recepimento della nuova Direttiva CE 2005/29, volta a ravvicinare le legislazioni degli Stati membri ed assicurare il pieno e corretto funzionamento del mercato interno. Infatti, con il recepimento della Direttiva attraverso i decreti legislativi 2 agosto 2007, nn. 145 e 146, il legislatore ha scorporato dal codice la disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa relative ai rapporti tra imprese concorrenti e inserito in esso la disciplina destinata a tutelare il consumatore, non solo dalla pubblicità ingannevole ma da ogni pratica commerciale scorretta.

Dunque, con le modifiche da ultimo apportate, il legislatore ha ampliato in maniera rilevante l’àmbito di applicazione della normativa consumeristica e, conseguentemente, i poteri riconosciuti all’Autorità preposta al controllo, consolidando il ruolo cardinale di essa per la tutela dei consumatori, nell’ordinamento italiano.

Per pratica commerciale scorretta si intende il comportamento adottato dal professionista contrario alla diligenza professionale e falso o idoneo a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta[5].

Quindi, la figura del consumatore medio costituisce il parametro di riferimento sia nella valutazione della correttezza di una pratica sia nella scelta fondamentale di definire il punto di equilibrio tra la libertà delle imprese di decidere la strategia di comunicazioni più efficace e il diritto dei consumatori.

Secondo l’attuale impostazione codicistica, le pratiche commerciali scorrette si distinguono in pratiche ingannevoli e pratiche aggressive. Sia l’inganno che l’aggressività costituiscono strumenti in grado di influenzare le scelte economiche dei consumatori, ma, mentre l’inganno induce ad assumere una decisione di natura commerciale attraverso una falsa rappresentazione delle caratteristiche del prodotto o del servizio, anche senza un contatto diretto tra offerente ed acquirente, l’aggressività induce il consumatore ad assumere decisioni che altrimenti non avrebbe preso limitando la libertà di scelta o di comportamento dello stesso attraverso il ricorso a diversi mezzi di coercizione. Nello specifico, le pratiche aggressive si distinguono in pratiche moleste, coercitive e indebitamente condizionanti.

Nell’àmbito di questo assetto, e alla luce della normativa odierna e delle numerose modifiche che si sono succedute negli anni, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha assunto un ruolo centrale in materia di pubblicità ingannevole ed aggressiva. Basti pensare che, in séguito all’entrata in vigore del d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146, in materia di pratiche commerciali scorrette, nel 2007 si è registrato un forte incremento delle segnalazioni, pari a 1.591 a fronte delle 899 dell’anno precedente[6]. Da allora in poi si è rilevata una costante crescita. L’art. 27 c. cons. si occupa di delineare i campi di competenza dell’Autorità con riferimento al sistema binario di tutela. Da una parte, infatti, spetta all’Autorità il còmpito di irrogare sanzioni di natura amministrativa in caso di adozione da parte del professionista di un comportamento scorretto integrante una pratica illecita ai sensi degli articoli 20 ss.; dall’altra parte, viene fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale, a norma dell’art. 2598 c.c., nonché in materia di diritto di autore, marchi e segni distintivi di imprese e beni. Si tratta, dunque, di un sistema vòlto a tutelare due profili differenti: l’AGCM svolge un compito generale di vigilanza del mercato affinché quest’ultimo funzioni correttamente, mentre al giudice ordinario spetta il còmpito di tutelare i soggetti danneggiati dal comportamento scorretto posto in essere dal professionista.

Nell’àmbito delle attribuzioni sue proprie, all’Autorità sono riconosciuti poteri investigativi ed esecutivi di carattere cautelare, inibitorio e sanzionatorio.

In particolare, secondo quanto stabilito dalla normativa consumeristica, l’AGCM, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e ne elimina gli effetti. Con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta a termine dell’istruttoria svolta, l’Autorità dispone, inoltre, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.

Peraltro, laddove sussista particolare urgenza, l’Antitrust può disporre, con provvedimento motivato, la sospensione provvisoria delle pratiche commerciali scorrette.

Rientra, infine, nella propria area di competenza l’attività ispettiva, svolta con l’ausilio della Guardia di finanza, volta ad effettuare accertamenti ed indagini in merito alla presunta pratica commerciale scorretta perpetrata dal professionista a danno dei consumatori.

Oggi, dunque, all’Autorità viene riconosciuto un ampio spazio di manovra, implementato nel corso degli anni attraverso l’introduzione di ulteriori strumenti, come: la procedibilità d’ufficio; l’ampliamento della propria sfera d’azione; in particolare con il d.lgs. n. 146/2007 in punto di pratiche commerciali scorrette, l’innalzamento della sanzione pecuniaria, reso necessario dal profondo mutamento della realtà sociale e dall’esigenza sempre più incalzante di tutela della parte debole del rapporto di consumo. L’obiettivo generale sotteso all’operato dell’Autorità, in questo ambito, è, infatti, il perseguimento di un elevato livello di trasparenza e di correttezza nelle distinte fasi in cui si articola il rapporto di consumo al fine di garantire la libertà di scelta da parte del consumatore in un quadro in cui il suo esercizio, pieno e consapevole, è spesso minato dall’esistenza di asimmetrie informative nel rapporto con il professionista.

Oltre alla normativa consumeristica, il procedimento amministrativo è disciplinato dal Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazione dei diritti dei consumatori nei contratti, violazione del divieto di discriminazioni, clausole vessatorie,entrato in vigore con la Delibera AGCM 1° aprile 2015, n. 25411.

Il Regolamento ha chiaramente contribuito a fornire un quadro completo alla materia, disciplinando le varie fasi in cui si articola l’intero procedimento di accertamento di una pratica commerciale scorretta: la fase preistruttoria, istruttoria e decisoria, alle quali eventualmente si affianca quella cautelare.

In aggiunta al procedimento amministrativo vero e proprio che si instaura con la comunicazione di avvio dell’istruttoria al professionista attenzionato, con l’art. 5 comma 1 lett. d del Regolamento in punto di provvedimenti preistruttori è stato previsto un ulteriore strumento, ovvero la possibilità per l’Autorità di optare per un intervento di moral suasion. Nello specifico, durante la fase preistruttoria, una volta effettuata una valutazione sommaria dei fatti segnalati o acquisiti d’ufficio, ritenuti sussistenti profili di illeceità non particolarmente gravi ma tali da non poter procedere con l’archiviazione, l’Autorità può invitare il professionista ad eliminare i profili di scorrettezza individuati. Il professionista è invitato ad una sorta di ravvedimento operoso da parte non dell’organo collegiale ma dal responsabile del procedimento. Si tratta, dunque, di una soluzione che da un lato garantisce celerità e proporzionalità dell’intervento, dall’altro esonera il professionista dal pagamento della sanzione eventualmente irrogata al termine dell’istruttoria in caso di accertamento della scorrettezza.

Occorre, peraltro, ricordare che l’intervento di moral suasion non costituisce l’unico strumento di deviazione dal tracciato canonico del procedimento che si conclude con l’irrogazione della sanzione. Il Regolamento riconosce, infatti, in capo al professionista la possibilità, entro e non oltre il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione della comunicazione di avvio del procedimento, di presentare impegni tali da far venire meno i profili di illegittimità della pubblicità o della pratica commerciale[7]. La decisione di accoglimento degli impegni li rende obbligatori per il professionista, senza accertamento dell’infrazione contestata in sede di avvio del procedimento.

Si tratta, pertanto, di strumenti variegati, che consentono all’Autorità di graduare il proprio intervento e adattarlo alla reale gravità della condotta posta in essere.

Occorre, inoltre, sottolineare che, pur rivestendo l’AGCM il ruolo di protagonista nella tutela del consumatore in materia di pratiche commerciali scorrette, il legislatore italiano, nell’attuazione della Direttiva del 2005, non ha mancato di affiancare ai rimedi di public enforcement la tutela giurisdizionale, prevedendo all’art. 27 comma 13 c. cons. il ricorso al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, avverso le decisioni dell’Autorità.

Alla luce di quanto brevemente esposto, pur essendo molteplici le questioni che andrebbero sviscerate, non può non rilevarsi la rilevanza che tale materia assume nell’economia moderna e, dunque, la centralità dell’intervento dell’Autorità in tale campo, soprattutto in una prospettiva futura.


 

NOTE

[1] Così, G. Amato, dalla Presentazione della Relazione Annuale dell’AGCM, 11 maggio 1995.

[2] Cfr. V. Codeluppi, Storia della Pubblicità italiana, Carocci, Roma 2013, 13.

[3] Cfr. A. Catricalà, G. Cassano, R. Clarizia, Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Utet, Torino 2018, 130.

[4] Sotto il profilo della natura dell’istituzione, l’AGCM si identifica come un’autorità amministrativa indipendente che svolge la sua attività e prende decisioni in piena autonomia rispetto al potere esecutivo.

[5] V. art. 20, comma 2, c. cons.

[6] Cfr. AGCM, Relazione annuale dell’attività svolta nel 2007, 228 ss.

[7] Cfr. art. 9 del Regolamento.

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