L’interesse per l’antico Egitto ha saputo resistere allo scorrere del tempo attraversando luoghi e culture diverse. Partendo dall’antica Roma è arrivato ai giorni nostri, preservando il suo vigore; tuttavia, il periodo della sua più florida espansione rimane quello a cavallo fra l’800 e il 900.
Le operazioni militari portate avanti da Napoleone Bonaparte tra il 1798 e il 1801 (note come “Campagna d’Egitto”) ebbero il merito di recuperare e arricchire il culto dell’Egitto, il cui fascino venne efficacemente ed abbondantemente espresso attraverso la letteratura, l’arte e l’architettura dell’epoca.
Con l’avvento della Regina Vittoria al trono d’Inghilterra, avvenuto del 1837, si assistette alla nascita di un’epoca storica e culturale densa di cambiamenti sociali.

Sebbene i numerosi processi di democratizzazione e liberalizzazione dei cattolici favorissero la diffusione di un generalizzato ottimismo, l’epoca vittoriana trattenne oscure e radicate usanze. Ad essere particolarmente penalizzati erano i ceti più poveri, esclusi dal benessere scaturito dal progresso industriale, marginalizzati in condizioni di estremo disagio.
In tale contesto, la situazione delle donne era particolarmente delicata, essendo costrette in molti casi alla prostituzione pur di garantirsi la sopravvivenza. A séguito della morte dell’amato marito, la Regina Vittoria mutò l’aspetto della sua persona e del suo regno, conservando il lutto fino al 1901, anno della sua dipartita dalla vita terrena. L’austerità trasmessa dal comportamento della regnante favorì l’idealizzazione della donna nelle vesti di un “angelo” casto, simbolo di purezza e serietà. Convivevano pertanto antitetiche ed inconciliabili rappresentazioni del femminile, in ogni caso sottoposto ad una vera e propria “schiavitù” legale e sociale. La donna virtuosa era del tutto dipendente dalle volontà e finanze del marito; suo unico compito era garantire la rispettabilità della famiglia attraverso la cura del focolare domestico e della prole.
All’interno di questo grigio e, spesse volte, contradditorio frangente storico sono rintracciabili gli albori del genere letterario horror. In particolare, si diffusero le Ghost stories, il cui successo fece venir meno l’attenzione nei riguardi del “fantastico” di nascita settecentesca. La morte prese piede nelle credenze e abitudini comuni, divenendo fulcro di molte attività.
Tre “spaventose” ed irriverenti femministe
Mary Shelley
È durante un inconsueto gioco fra amici, che il celebre “mostro” di Frankenstein prese vita dalla penna dell’allora giovane ed irrequieta Mary Shelley (1797-1851).

La scrittrice, cresciuta nella Londra in un’epoca già vicina a quella pocanzi descritta, aveva appreso e coltivato le idee del tempo, potendo apprezzare fin dall’infanzia i racconti di poeti ed intellettuali giunti al capezzale del padre, il noto filosofo e politico William Godwin.
Nei salotti della sua casa Mary conobbe il poeta romantico Percy Bysshe Shelley, del quale si innamorò perdutamente, al punto tale da mettere a rischio il rapporto con l’affezionatissimo, seppur incompreso, padre, assolutamente contrario alla relazione. Del resto, nel passato di Percy Shelley vi erano una precedente moglie, di lì a poco morta suicida, e due figli; per questa ed altre ragioni, i due amanti furono costretti a fuggire dall’Inghilterra. Si rifugiarono dapprima in Francia, poi, a séguito di un breve e spiacevole rientro in Patria, decisero di stabilirsi in Svizzera, dove risiedettero affittando una casa sulla riva del Lago di Ginevra insieme alla sorellastra di Mary, Claire, ed il poeta Lord Byron suo compagno.
Durante una triste ed interminabile serata di temporale la consueta compagnia di amici architettò uno stravagante stratagemma per occupare il tempo. Non pienamente appagati dalla lettura di già conosciute storie di fantasmi, Byron avanzò l’idea di gareggiare nella scrittura di nuove storie terrificanti. Così, per uno strano caso del destino, Mary, confrontandosi con i mostri del suo passato e la paura del futuro, concepì la sua prima e più celebrata opera Frankenstein, or the Modern Prometheus.
Questa venne pubblicata in forma anonima nel 1818, incontrando lo stupore ed il favore del pubblico a discapito di una critica non in linea con la complessità ed imprevedibilità della trama. Il romanzo, lungi dall’essere un racconto sviluppato al solo fine di spaventare, si inserisce efficacemente nella tradizione del romanzo gotico trattenendo spunti filosofici e simboli mitologici. L’autrice seppe sfruttare le conoscenze apprese dall’egittologia incipiente, nonché dall’amico medico John Polidori, oltre che le prime evidenze scaturite dagli esperimenti del tempo in àmbito chimico ed elettrico.
Sotto l’influsso di questi diversi àmbiti di sapere, Mary descrisse una creatura dall’aspetto ripugnante, frutto dell’assemblaggio di cadaveri e parti di animali rinvenuti nei mattatoi, capace di resistere al freddo più rigido e alla fame. «La sua pelle giallastra a mala pena ricopriva il lavorio sottostante dei muscoli e delle arterie; i suoi capelli erano folti, di un nero lucido e i suoi denti di un bianco perlaceo; ma questi caratteri rigogliosi non facevano che contrastare in modo più orrendo con i suoi occhi umidi che sembravano quasi dello stesso colore bianco sporco delle orbite su cui poggiavano, con la sua pelle raggrinzita e con le sue labbra nere e dritte»: così il dottor Victor Frankenstein vedeva la creatura cui intendeva dar vita.
Lo stupore derivante dall’avvento della tecnologia aveva di fatto portato con sé evidenti paure, fra queste la presunta capacità dell’energia elettrica di far rinvenire i defunti. Inoltre, la scoperta di corpi perfettamente mantenutesi nel tempo provenienti dalle tombe egizie aveva contribuito a rafforzare l’idea di non perfetta contrapposizione fra la vita e la morte.
Il testo è inoltre ricco di riferimenti autobiografici, primo fra tutti la triste associazione fra lei ed il “mostro”, entrambi colpevoli di aver posto fine alla vita dei loro creatori; difatti la madre della scrittrice, Mary Wollstonecraft, morì appena dieci giorni dopo il parto, lasciando un incolmabile vuoto di affetto e un profondo ed irrisolvibile senso di colpa nella donna.
Ciò nonostante, Mary ebbe cura di mantenere vivo lo spirito ribelle ed altruista della perduta madre, nota per essere stata una delle prime scrittrici apertamente femministe. L’attenzione per il sociale emerge da molte opere della nostra autrice, capace di comprenderne le difficoltà come le insidie. Non a caso in Frankenstein l’emarginazione sociale, causata dalla mancata comprensione e accoglienza del diverso, determina la furia del “mostro”, ripudiato dal suo stesso padrone.
Ebbene, appare evidente il rimando alle teorie filosofiche romantiche, in particolare alla concezione ideata dal filosofo svizzero, Jean Jacques Rousseau. Questi riteneva che l’uomo, per natura buono e pacifico, venisse irrimediabilmente compromesso dal sistema sociale nel quale si trovava a vivere, in particolare dall’incontro con i suoi simili e dal progresso. L’Emile ou De l’éducation apre così: «Ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle cose; ogni cosa degenera nelle mani dell’uomo».
Jane Wells Webb
Il 1827 fu l’anno in cui venne pubblicata, sempre in forma anonima, un’altra opera visionaria, The Mummy! A Tale of the Twenty-Second Century di Jane Wells Webb (1807-1858).

Il romanzo, diviso in tre volumi, secondo la consuetudine che mirava a facilitarne il trasporto e la divulgazione, venne con molte probabilità ispirato dalla lettura di Frankenstein. Inserito anch’esso all’interno della tradizione gotica, rappresenta un importante punto di svolta in àmbito letterario, prefigurando il genere fantascientifico.
Non a caso, la storia narrata viene ambientata nell’ancora lontano 2126, allorquando la mummia del monarca egiziano Cheope sarebbe stata rianimata con l’uso dell’elettricità. Sebbene la tecnologia immaginata dalla scrittrice non sia vicina all’effettivo sviluppo tecnologico ora osservabile, rimane incredibilmente ed inspiegabilmente realistico lo scenario socioculturale ipotizzato. Un mondo dove l’avanzamento scientifico non ha saputo garantire una migliore qualità vita, determinando un impoverimento di significato e delle pratiche umane, molto spesso rimpiazzate dal lavoro di macchine prive di intenti e sentimenti. La tecnologia ha preso il sopravvento sulle relazioni interpersonali andando a consacrare un unico e nuovo Dio: il profitto.
L’opera è chiaramente collocata nell’àmbito delle tendenze del tempo: ci si riferisce all’orientalismo e al culto dell’Egitto, diffuso in Inghilterra per merito della decifrazione, avvenuta nel 1822, della Stele di Rosetta ad opera dell’archeologo ed egittologo francese Jean François Champollion. Un altro lavoro indubbiamente meritevole di riscontro riguarda le esplorazioni dell’italiano Giovanni Battista Belzoni, conosciuto come uno dei massimi esponenti dell’egittologia mondiale, che aveva fatto arrivare intatte presso l’Egyptian Hall di Londra mummie e sarcofagi, rinvenuti durante le sue perlustrazioni delle Piramidi.
Tornando al racconto della nostra scrittrice, ricordiamo come, rimasta orfana di entrambi i genitori alla giovane età di 17 anni, Jane Wells Webb dovette ingegnarsi per potersi mantenere, ragion per cui fece del suo talento narrativo una professione. Al riguardo dichiarò: «Avevo scritto uno strano romanzo selvaggio, intitolato La Mummia, in cui avevo ambientato la scena nel ventiduesimo secolo, e tentato di prevedere lo stato di miglioramento a cui questo Paese sarebbe potuto arrivare».
Il romanzo poté garantirle una stabilità di proventi ma anche di affetti; è proprio in ragione di un commento alla sua opera nel The Gardener’s Magazine che ella conobbe il suo futuro marito, lo scozzeseJohn Claudius Loudon. Con lui condivise la passione per la botanica e la letteratura, non mancando di collaborare professionalmente nella stesura di un manuale di giardinaggio destinato alle giovani donne appassionate del tema, Botany for Ladies (1842).
È in considerazione delle sue idee e del suo atteggiamento progressista che venne riconosciuta quale attiva esponente ante litteram del pensiero femminista.
Louisa May Alcott
Infine, andiamo ad osservare un ultimo, ma non per questo meno significativo, esempio di coraggioso ingegno, quello espresso dall’acclamatissima scrittrice di origine statunitense Louisa May Alcott (1832-1888), autrice di Lost in a Pyramid, or The Mummy’s Curse, ma più celebre per il suo capolavoro Piccole donne, ambedue datati 1868.
Il fascino del primo racconto appena ricordato è stato riscoperto solo nel 1998, dopo più di un secolo dalla sua scrittura. Il thriller dal fascino esotico ben evidenzia l’interesse della scrittrice per l’Egitto e le sue leggende: non a caso Lost in a Pyramid si è consolidato all’interno delle narrazioni sulle maledizioni delle mummie.

La Alcott racconta dell’ira funesta di una potente maga, disturbata nel suo sonno eterno da due esploratori, che pagheranno cara la curiosità che animava il loro viaggio nella Piramide di Cheope.
Quanto poi all’opera più nota della nostra autrice, Piccole donne, possiamo, senza dubbio, affermare che il libro divenne il manifesto di una soffusa ribellione contro quell’ideale sociale che vedeva le donne condizionate a vivere in un modo unico di crescere e di vivere. Con la sua saga di libri semi-autobiografici (Piccole donne, Piccole donne crescono, Piccoli uomini, I ragazzi di Jo), Alcott conferì alle sue lettrici ed ai suoi lettori la forza di rivendicare la propria unicità a discapito del pensiero comune e del giudizio sociale.
Seguendo le orme della madre, prese posizione come suffragetta, in un tempo in cui il femminismo, come lo conosciamo oggi, era solo agli albori. Emancipatasi economicamente attraverso il frutto del proprio lavoro, la scrittrice non volle mai accompagnarsi ad un uomo, non mettendo pertanto mai a rischio l’autonomia e la libertà tenacemente conquistate.
Si fece portavoce di numerose battaglie civili a baluardo dell’uguaglianza di genere e sociale: è noto il suo impegno per l’abolizione della schiavitù. L’intento della Alcott era quello di sensibilizzare la sua generazione alla libera e per questo autonoma presa di coscienza, difendendo il diritto di seguire le proprie inclinazioni e ambizioni, travalicando così i concetti di giusto e sbagliato.
A questo fine ella impiegò quali strumenti di efficace istruzione la morale e la religione nella loro portata e potenza universale.