Secondo quanto recita l’art. art. 2 lett. a d.lgs. 2 agosto 2007, n. 145, per pubblicità commerciale deve intendersi «qualsiasi forma di messaggio che è diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi…».
Siffatta asettica definizione, invero, non esaurisce la portata di un fenomeno estremamente variegato e dalle radici antichissime.
Se, da un lato, scavi archeologici ci rendono testimonianza di rudimentali affissioni pubblicitarie già nell’antica Pompei (per promuovere eventi sportivi o decantare la qualità di prodotti, mediante brevi iscrizioni e/o raffigurazioni di intuitiva evidenza), tuttavia, è solo con il diffondersi della stampa – e quindi con la possibilità di replicare e divulgare il messaggio in modo continuo e su larga scala – che l’annuncio pubblicitario conosce la propria chiave di volta, assumendo i connotati distintivi della reclame dell’era moderna.
A partire dalla fine del diciannovesimo secolo, il messaggio pubblicitario assurge talvolta a vera e propria forma d’arte (si pensi alle opere di Henry de Toulouse-Lautrec, i cui manifesti hanno profondamente influenzato la cartellonistica e la pubblicità stampata in generale dell’epoca), arrivando a coinvolgere, nella seconda metà del secolo scorso, anche artisti del calibro di Salvador Dalì (il logo Chupa Chups, uno dei marchi più riconoscibili del settore dolciario a livello mondiale, fu disegnato nel 1969 proprio dal maestro del Surrealismo) e di Keith Haring (autore di un manifesto pubblicitario per Absolut Vodka e Lucky Strike, rispettivamente nel 1986 e 1987).
Al giorno d’oggi, l’annuncio pubblicitario – pur conservando lo scopo dei primordi – ha assunto molteplici declinazioni ed è veicolato efficacemente attraverso i numerosi canali che la tecnologia moderna consente, rendendo il mondo del marketing un affascinante agone in cui creatività, intuizione e capacità realizzativa concorrono ad indirizzare le scelte dei consumatori.
Naturalmente, il Legislatore non poteva lasciare una simile competizione priva di regole. E, così, regole esso ha dettato, sia a tutela dei consumatori, sia a tutela degli stessi operatori commerciali.
Eccone un succinto novero, senza alcuna pretesa di esaustività.
In ordine al primo profilo, merita di essere menzionato in primis il d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cd. codice del consumo), che contiene sia il complesso normativo a presidio della tutela dei destinatari finali dei beni di consumo in generale (ferma restando l’applicazione dei dettami del codice civile in materia di contratti in genere, laddove non derogati dal Codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore), sia le più specifiche norme in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, di divieto di pratiche commerciali sleali o aggressive (novellate dal d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146), di contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali e di contratti a distanza.
Nel codice del consumo trovano altresì disciplina la vendita di pacchetti turistici, la multiproprietà e le televendite, la sicurezza dei prodotti immessi sul mercato e la responsabilità per danno da prodotti difettosi.
Per quanto riguarda, invece, la normativa posta a tutela degli operatori economici, essa è compendiata nel d.lgs. n. 145/2007, cit., che ha lo scopo di garantire i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, nonché di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa.
La normativa (art. 5 d.lgs. n. 145, cit.) dispone che la pubblicità debba essere ‘trasparente’ e, come tale, chiaramente riconoscibile. La pubblicità a mezzo di stampa deve essere pertanto distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione. È fatto assoluto divieto di ogni forma di pubblicità subliminale.
L’operatore economico professionista deve porre particolare attenzione alla promozione di prodotti che possano risultare pericolosi per la salute e la sicurezza, fornendo adeguate informazioni in ordine a quei prodotti suscettibili di mettere a repentaglio detti beni (art. 6 d.lgs. n. 145, cit.).
È considerata ingannevole la pubblicità che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini e adolescenti, abusi della loro naturale credulità o mancanza di esperienza, sanzionando altresì quel professionista che, avvalendosi di detti vulnerabili soggetti nella realizzazione di messaggi pubblicitari – fermo quanto disposto dall’articolo 10 l. 3 maggio 2004, n. 112, sulla tutela dei minori nella programmazione televisiva – abusi dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani (art. 7 comma 1 d.lgs. n. 145, cit.).
È inoltre considerata ingannevole la pubblicità, che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini e adolescenti, può, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza (art. 7 comma 1 d.lgs. n. 145, cit.).
La concorrenza sleale tra imprese è infine presidiata, ove ne ricorrano i presupposti, dalla disciplina di cui agli artt. 2598 ss. del codice civile.
Allorquando nei ‘consigli per gli acquisti’ si ravvisi una pubblicità ingannevole, il potere di impedirne la diffusione (art. 8 commi 2 ss. d.lgs. n. 145, cit.), anche mediante l’intervento della Guardia di Finanza, spetta all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM: v. l. 10 ottobre 1990, n. 287, recante Norme per la tutela della concorrenza e del mercato).
L’AGCM può, se del caso, emettere un provvedimento inibitorio (impugnabile innanzi agli organi di giustizia amministrativa), punibile con sanzioni amministrative pecuniarie in caso di inosservanza. È inoltre prevista la sospensione dell’attività d’impresa, sino ad un massimo di trenta giorni, nei casi di reiterata inosservanza.
A richiesta dell’Autorità, l’operatore commerciale può essere obbligato a fornire prove a conforto della veridicità dei dati di fatto contenuti nell’informazione pubblicitaria. Se il riscontro richiesto è omesso o non esaustivo, i dati di fatto saranno considerati inesatti, con ogni consequenziale provvedimento da parte dell’AGCM.
È opportuno evidenziare che, nel nostro Ordinamento, talune condotte di concorrenza sleale possono travalicare il perimetro della liceità penale.
Fra queste possiamo ad esempio annoverare: l’illecita concorrenza con minaccia o violenza (art. 513 bis c.p.), l’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (art. 615 ter c.p.), la rivelazione di segreti scientifici o industriali (art. 623 c.p.), nonché l’appropriazione indebita (art. 646 c.p.), nelle ipotesi in cui un ex dipendente dell’impresa utilizzi abusivamente determinati elementi appartenenti all’azienda, al fine di trarne profitto.
Ad ogni modo, al fine di creare un sistema virtuoso che garantisca una comunicazione commerciale improntata a canoni di correttezza e di responsabilità sociale, nel nostro Paese opera anche l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) che, mediante un Codice di Autodisciplina – giunto alla 70ª edizione, in vigore dal 1° giugno 2023 (la 1ª edizione del Codice risale al 12 maggio 1966) – detta i criteri per un’informazione pubblicitaria «onesta, veritiera e corretta», conforme alle esigenze di tutela dei consumatori e della leale concorrenza tra e imprese.
Al suddetto Codice di Autodisciplina aderiscono oggi i principali operatori del settore.
Lo IAP è ormai riconosciuto quale sistema di giustizia alternativo a quello statuale e, come tale, menzionato in documenti comunitari, leggi e sentenze dei giudici italiani.