Sommario: 1. Premessa. 2. Come e perché Napoleone intraprese la campagna d’Egitto. 2.1. L’ambizione egocentrica. 2.2. L’assalto al Nemico mortale della Francia. 2.3. La diffusione dei Lumi. 3. Le conseguenze culturali: la stele di Rossetta etc. 4. Aegyptus ferum victorem cepit?
1. Premessa.
In questo breve scritto si ricercheranno le motivazioni che spinsero Napoleone, non ancora primo console e non ancora imperatore, a tentare una dispendiosa avventura coloniale in Egitto[1] mettendo a repentaglio la ricostituita marina francese e la vita e la salute di migliaia di soldati; si traccerà quindi un disegno delle conseguenze dell’impresa.
Fin da ora, sarà utile evidenziare che la presenza in Egitto di Napoleone e del suo esercito di savants diede l’innesco a una serie di eventi che permearono l’Europa nel XIX secolo e che produce i suoi effetti ancora oggi, nella civiltà delle macchine e della tecnologia. A tacer d’altro la diffusione degli oroscopi tra il popolino (e non solo) e la riemersione periodica di religioni a base esoterica costituisce una delle conseguenze dell’innesto della “rinascenza” dei miti egizi (l’Egittologia e l’Egittomania) sul pensiero magico sopravvissuto nei ceti rurali e sulle credenze lato sensu esoteriche proprie della massoneria, ampiamente diffuse nelle élites prima e dopo gli eventi del 1789.
2. Come e perché Napoleone intraprese la campagna d’Egitto.
Dopo le cosiddette guerre rivoluzionarie, che consentirono alla Francia giacobina non soltanto di resistere alla reazione delle monarchie rappresentative dell’Ancien Régime ma anche di ottenere il controllo dell’Italia settentrionale, nel 1798, il Direttorio assecondò l’idea del generale Bonaparte di occupare l’Egitto, la cui posizione sulle rotte commerciali fra Africa, Asia ed Europa era strategica.
Questa la sequenza degli eventi:
– partenza dal porto di Tolone il 19 maggio 1798;
– occupazione di Malta;
– arrivo a fine giugno ad Alessandria d’Egitto, pochi giorni dopo la partenza delle navi inglesi, che pure avevano atteso il nemico per settimane;
– battaglie campali a Shubra Khit e nei pressi di Giza, nel luglio del 1798, con vittoria francese sui governatori d’Egitto per conto del Sultano di Costantinopoli;
– sconfitta navale francese nella notte del 1° agosto 1798, nella baia d’Abukir;
– rivolta della popolazione del Cairo Il 21 ottobre 1798 e brutale repressione;
– marcia dell’esercito francese attraverso il deserto del Sinai e la Palestina, per contrastare un esercito turco in arrivo;
– occupazione francese di Giaffa ad inizio marzo 1799 ed eccidio di 3.000 soldati turchi e circa 1.000 prigionieri sopravvissuti;
– epidemia di peste, battaglia del Monte Tabor, assedio della fortezza di San Giovanni d’Acri, conclusosi a maggio del 1799 senza successo;
– partenza dall’Egitto del generale Bonaparte il 22 agosto 1799;
– resa del generale Jean-Baptiste Kléber nell’agosto del 1801 a conclusione dell’assedio di Alessandria ad opera delle truppe inglesi.
Il risultato, dal punto di vista militare, e nell’ottica di Bonaparte: perdita della flotta dell’armata d’Oriente, migliaia di soldati morti, un insuccesso totale.
Come spiegare dunque un’impresa così dispendiosa, spettacolare e chiaramente irrealizzabile, del tutto in contrasto con la razionalità “matematica” di Napoleone?
2.1. L’ambizione egocentrica.
Il prima (le idee formatesi durante l’adolescenza) e il dopo (la conquista del potere assoluto, con il colpo di Stato del 18 Brumaio del 1799) potrebbero gettare luce sul movente dell’azione. Si legge nella biografia di Emil Ludwig che Napoleone, da tenente alla scuola militare a Valenza «è inchiodato a studiare, con sicuro istinto, quello e soltanto quello che gli sarà utile un giorno. Princìpi e storia dell’artiglieria, regole d’assedio, la Repubblica di Platone, la Costituzione dei Persiani, degli Ateniesi, degli Spartani, la Storia di Inghilterra, le campagne di Federico, le finanze delle Francia, usi e costumi dei Tartari e dei Turchi, Storia d’Egitto e di Cartagine … Fanno testimonianza i quaderni dove scrive, con una calligrafia quasi illeggibile, sunti molto esatti … Soprattutto ampie sono le annotazioni sull’Egitto e sull’India.»[2]. Appunto, l’Egitto, ove si conservano ancora le orme di Alessandro Magno, il conquistatore invitto, il fulmine di guerra, il figlio di Ammon. Il carattere del giovane uomo è rivelato da queste parole, in uno scritto destinato all’Accademia di Lione, in cui descrive Alessandro e sé stesso: «l’ambizioso dal pallido volto, dal riso sardonico si trastulla col delitto: suo strumento diventa l’intrigo… Se giunge ad afferrare il potere, ben presto lo tedia l’omaggio della massa … I grandi ambiziosi hanno cercato la felicità e trovata la gloria.»[3]. Pochi mesi prima della spedizione, il 25 gennaio 1798, il Generale scrive: «Bisogna andare in Oriente, tutte le grandi glorie vengono da là.»[4]. Ancora, alla vigilia dello sbarco, così eccita i soldati: «La prima città che incontreremo è stata costruita da Alessandro. Troveremo ad ogni passo ricordi degni di eccitare l’emulazione dei Francesi.»[5].
Alla luce di queste evidenze, la campagna d’Oriente trova la sua spiegazione, in chiave psicologica, nell’Ego esorbitante del suo artefice[6], che il Direttorio volle assecondare -forse- nella segreta speranza di liberarsi di un eroe diventato ormai troppo popolare.
2.2. L’assalto al Nemico mortale della Francia.
Eppure, fin da sùbito il giovane Napoleone, insieme alla brama di gloria, coltivò una razionale avversione nei confronti di quello che considerava il Nemico mortale della Francia: l’Impero britannico.
In quanto isolano, quel “terribile uomo”[7] era nato con l’odore del mare nelle narici e, crescendo, aveva compreso che nessun sogno di gloria, per sé e per la Francia si sarebbe potuto realizzare senza il dominio marittimo.
Dopo aver immaginato l’invasione dell’Inghilterra, dove – tra l’altro – si era rifugiata gran parte dell’aristocrazia francese sopravvissuta al Terrore, Egli constatò che la marina repubblicana non avrebbe potuto garantire lo sbarco di uomini e mezzi al riparo dei cannoni della Royal Navy[8]e quindi elaborò un piano più ampio. Ecco cosa scriveva il Nostro al ministro degli Esteri, il 12 settembre 1797: «Se succedesse che in occasione della pace in Inghilterra fossimo costretti a cedere il Capo di Buona speranza, dovremmo impadronirci dell’Egitto.»[9]. E a distanza di pochi giorni, il 16 settembre 1797, così parlò ai marinai della squadra del contrammiraglio Brueys: «Camerati, dopo aver pacificato il continente, ci uniremo a voi per conquistare la libertà dei mari. Ognuno di noi conserverà nella mente l’orribile spettacolo di Tolone in cenere e la vittoria asseconderà i nostri sforzi.»[10].
Questa era dunque la strategia: impossessarsi di Malta e dell’Egitto, cacciare l’Inghilterra dal Mar Rosso, tagliare il canale di Suez per assicurarsi il possesso di quell’area ed avere la strada libera per le ricchezze dell’Oriente, quindi combattere l’Inghilterra alla fonte della sua ricchezza.
L’idea era chiara e fu esposta al Direttorio prima dell’impresa: «La spedizione in Inghilterra non sembra dunque possibile. Bisogna allora limitarsi alle apparenze e attirare la sua attenzione e tutti i suoi mezzi sul Reno oppure fare una spedizione in Levante che minacci il suo commercio con le Indie.» [11] e ripetuta ai soldati nel proclama dal Quartier generale di Tolone il 10 maggio 1798: «Il genio della libertà, che ha reso la Repubblica, sin dal suo sorgere, arbitra d’Europa, vuole ch’essa sia arbitra dei mari e delle più lontane contrade.»[12]; e ancor più chiaramente nell’allocuzione dalla nave ammiraglia Oriente, il 28 giugno 1798: «Soldati, voi state per intraprendere una conquista che avrà incalcolabili effetti sulla civiltà e il commercio del mondo. Poi porterete all’Inghilterra il colpo più sicuro e sensibile, aspettando di farle il colpo mortale.»[13].
Lo stesso convincimento era ribadito a distanza di tempo, in una lettera del 27 febbraio 1801, diretta allo Zar di Russia, quando l’avventura era quasi conclusa: «L’arroganza e l’insolenza degli Inglesi non hanno esempio … Gli Inglesi tentano uno sbarco in Egitto, è interesse di tutte le potenze del Mediterraneo, come di quelle del Mar Nero, che l’Egitto rimanga alla Francia. Il canale di Suez, che unirebbe i mari dell’India al Mediterraneo, è già tracciato.»[14].
L’odio viscerale per l’Inghilterra era confermato a chiare lettere l’anno successivo: «Tutti i mali, tutti i flagelli che possono affliggere gli uomini derivano da Londra.»[15].
Ma al di là delle parole, spesso con finalità propagandistica, contano i fatti. Si può sostenere che il filo rosso del ventennio napoleonico, dal punto di vista politico militare, sia costituito dalla lotta contro l’Inghilterra per il dominio sui mari; in essa si inseriscono come tasselli sequenziali la fallita spedizione di Hoche in Irlanda nel 1796,il progettato sbarco a Dover nel 1797, la campagna d’Egitto nel 1798 e, a seguire, il blocco continentale. In tal senso l’impresa egiziana non sarebbe affatto l’iniziativa propagandistica di un condottiero affetto da orgoglio smisurato, bensì un capitolo di una strategia ben ponderata e di lungo periodo. Negli stessi termini uno storico militare, Alberto Lumbroso, a mente fredda, cento e più anni dopo i fatti: «Questa spedizione non è un semplice episodio della lotta contro l’Inghilterra, è preceduta da un prologo, seguìta da un epilogo … La spedizione d’Egitto non è nata soltanto dall’ambizione di un uomo, dell’uomo che l’ha organizzata e capitanata, né dalle combinazioni machiavelliche di altri uomini tra loro o di altri uomini con lui. Come proclama l’Hanotaux, d’accordo con Sorel e col Madelin, quella spedizione rispondeva esattamente agli interessi nazionali francesi …»[16]. Ritorna in auge la visione di Napoleone stratega freddo calcolatore.
2.4. La diffusione dei Lumi.
Eppure, il generale Bonaparte, il figlio della Rivoluzione[17], non sottacque un’altra finalità dell’avventura egiziana, lato sensu ideologica.
Ecco cosa scriveva il 22 agosto 1798, ad invasione iniziata: «Ci sarà in Egitto un istituto per le scienze e le arti, con sede al Cairo. Questa istituzione avrà soprattutto una finalità: il progresso e la diffusione dei Lumi in Egitto.»[18]. Se i fini si spiegano anche alla luce dei mezzi, non si trattava soltanto di parole: racconta Ludwig che il gran Còrso aveva portato con sé «astronomi, geometri, mineralogi, chimici, archeologi, costruttori e pontieri, orientalisti, economi, pittori e poeti … Li ha scelti tutti egli stesso e anche qui ha ponderato ogni particolare. Ha provveduto persino alle lettere arabe, che la stamperia di Stato gli voleva ricusare, persino alla biblioteca che è ora a bordo della nave ammiraglia. … Dopo pranzo si compiace di tenere sedute dell’Istituto: sul nome scherza ma nelle discussioni è molto preciso: propone un tema, indica due avversari che lo discutano pro e contro. La matematica e la religione sono i temi prediletti …»[19]. Così prosegue: «L’università in viaggio prepara nel frattempo grandiosi lavori … Si affrontano iniziative essenziali per il paese, geometriche e geografiche; per la prima volta vengono studiati in grande stile i pesci del Nilo e i minerali del Mar Rosso, le piante del Delta e gli elementi costitutivi della sabbia del deserto; si pensa allo sfruttamento del limo del Nilo e a quello del Lago Natron; si ricercano le cause della peste e dello spaventoso tracoma che acceca mezzo Egitto; si stampano vocabolario e grammatica, si disseppelliscono i templi dell’alto Egitto, si ritrova la sorgente di Mosè.»[20]. Sul serio Napoleone voleva portare i Lumi in Egitto e a suo modo creò l’Egittologia, ossia la conoscenza scientifica dell’Egitto antico.
3. Le conseguenze: la Stele di Rossetta etc.
La spedizione dei 175 dotti al séguito dei soldati permise di ritrovare i segni dell’Egitto faraonico e condurre in Francia un enorme quantità di conoscenze (e di reperti archeologici): non era neppure necessario scavare, bastava farsi illuminare dal sole implacabile del deserto.
Il barone Dominique Vivant Denon riprodusse con la matita tutto ciò che poteva disegnare, in qualunque condizione, protetto com’era dalle armi dei fantaccini e il risultato fu un libro strabiliante, Voyage dans la haute et basse Egypte, del 1802, in cui mostrava agli europei le rovine della civiltà plurimillenaria. Di qui l’idea della più ampia opera collettiva Description de l’Egypte ou Recueil des observations et des recherches qui ont été faites en Egypte pendant l’expédition de l’armée française, in ventitré volumi, a cura di F. Jomard, pubblicata dal 1809 al 1828, che costituisce il preambolo dell’egittologia come scienza. Come nel XVII e XVIII secolo l’Italia era stata l’obiettivo principale dei viaggiatori nordeuropei, avidi di vedere con i propri occhi le vestigia dell’arte classica e le meraviglie del Rinascimento e portare con sé piccoli e grandi souvenir,così la Description infiammò la curiosità di nobili annoiati, mercanti d’arte, collezionisti, avventurieri, esploratori, antiquari, tutti a caccia di reperti della civiltà dei faraoni, da destinare i musei d’Europa, a qualunque costo. Si deve al piemontese Bernardino Drovetti, console generale di Francia fino al 1829, e al suo collaboratore marsigliese J. J. Rigaud la raccolta dei pezzi che avrebbero formato il nucleo principale del Museo egizio di Torino.
Ormai il vaso di Pandora era aperto: accettò la sfida il console generale d’Inghilterra H. Salt il quale, favorito dalla conoscenza dei luoghi dell’esploratore svizzero J. L. Burckhardt (convertitosi all’Islam con il nome Ibrahim Ibn Abdallah) e dall’inventiva dell’instancabile padovano G. Belzoni, commerciante di macchine idrauliche, spedì a Londra una quantità enorme di reperti e anche una statua colossale di Ramsete II. La caccia (rectius, devastazione) indiscriminata era accompagnata dalla scoperta di siti archeologici fino a quel momento sconosciuti, il tutto documentato da disegni artistici e rilievi grafici.
Nel frattempo, nel 1822, Jean-François Champollion pubblicò la Lettre a M. Dacier, in cui dava atto degli studi sulla stele che i fanti di Napoleone vent’anni prima avevano rinvenuti a Rosetta, da cui ebbe inizio la decifrazione del sistema geroglifico. La notizia fece scalpore e convinse il re Carlo X a finanziare una spedizione realmente scientifica in Egitto: la missione (a cui partecipò anche il prof. Rosellini di Pisa) ebbe il còmpito di disegnare con il massimo rigore monumenti, templi e iscrizioni, per tramandare ai posteri lo stato dei luoghi così com’era, prima di nuovi scempi (in poco meno di trent’anni in Egitto erano già spariti quattordici templi!). Il risultato delle fatiche di Champollion, di Rosellini e collaboratori consistette in un’opera in nove volumi, Monuments de l’Egypte e de la Nubie, pubblicata postuma nel 1843. Era il vero inizio dell’egittologia come scienza ed anche della lotta senza quartiere tra i salvatori e i predatori delle antichità d’Egitto.
4. Aegyptus ferum victorem cepit?
In sintesi, la sventurata spedizione napoleonica provocò – oltre a varie migliaia di morti, feriti e prigionieri – due conseguenze durevoli: l’Egittologia, ossia la riscoperta scientifica dell’antica civiltà faraonica, e l’Egittomania, ossia l’interesse esagerato, spinto fino all’ossessione, per gli oggetti e i miti degli uomini e delle donne che popolarono la valle del Nilo, fino alla conquista romana e anche oltre. E così, come la riscoperta dei classici greci nel XV secolo si pone alla base del Rinascimento – la riedizione in epoca moderna del paganesimo tardo-antico –, così l’egittologia nel XIX secolo riversò in Occidente credenze cancellate dalla Storia, che a fatica potrebbero ricondursi alla moda egizia che a partire dalla fine del XVII secolo aveva accompagnato il propagarsi delle idee e dei rituali massonici tra le élites.
Infatti, prima della Rivoluzione, sparute notizie (per lo più riguardanti l’Egitto tolomaico e romano) tramandate dagli storici antichi e intuizioni più o meno fantasiose erano state apparecchiate ad arte – in chiave libertaria e anticristiana – allo scopo di diffondere l’idea di un sapere originario superiore da riscoprire ad ogni costo; invece l’Egittomania ottocentesca scaturiva da fatti concreti, quali la decodificazione degli scritti dell’epoca dei Faraoni, la divulgazione dei resoconti dei viaggi in terra africana e un profluvio di steli, mummie e corredi funerari. I risultati: prima della Rivoluzione, «inganno, menzogna e impostura o, per dirla più lievemente, pio autoaccecamento»[21], ad usum di sedicenti Illuminaten; dopo la Rivoluzione, società teosofiche e antroposofiche, mistica delle piramidi, colloqui medianici xenoglossi, dark stories, arte cimiteriale egittizzante, pitturasimbolista e ancor più astruse fantasticherie.
E così, colui che da ragazzo studiava con profitto Matematica e Storia, il puro erede del movimento settecentesco al massimo grado analitico[22], antispiritualista[23], anticristiano[24], senza volere diede la stura a ondate ricorrenti di orientalismo, esoterismo, occultismo, psicologia dell’inconscio, ecc., le cui manifestazioni più recenti si rinvengono nell’astrologia d’accatto, nel cinema horror e in varie forme di sincretismo religioso[25].
Si tratta di un caso bizzarro di eterogenesi dei fini? Chi conosce le dinamiche personali non tarderà a trovare una spiegazione ragionevole a siffatte bizzarre epifanie dell’irrazionale: in fondo in fondo, esse si riconducono all’anelito insopprimibile dell’animo umano per il suo destino ultraterreno oppure, se si preferisce, all’insofferenza della nostra dimensione spirituale-simbolica nei confronti della crescente schiavitù dei numeri.
[1] Sull’argomento, ex plurimis, da più punti di vista D. G. Chandler, Le campagne di Napoleone, Rizzoli, Milano 1992; P. Strathern, Napoleon in Egypt, Vintage publishing, New York 2008; Al-Jabarti, Napoleon in Egypt: Al Jabarti’s chronicle of the French occupation 1798, New Jersey, Markus Wiener Pub. 2005; C. Gillispie, L’importanza scientifica della campagna d’Egitto, in Le Scienze 1994, n. 315, novembre, pp. 76-84.
[2] E. Ludwig, Napoleone, Rizzoli, Milano 1929, p. 21 s.
[3] E. Ludwig, op. cit., p. 32.
[4] A. Malraux, (a cura di), Napoleone Bonaparte, Autobiografia, Mondadori, Milano 1995, p. 47.
[5] G. Rabizzani, (a cura di), I bullettini di Napoleone. Discorsi politici, proclami, messaggi allocuzioni militari, Carabba editore, Lanciano 1911, p. 33.
[6] In questi termini, sostanzialmente, A. Vacca Migliorini, Da Valmy a Waterloo, Zanichelli, Bologna 1939, p. 284 s.: «Quanto al seguito da dare alle operazioni, ad Egitto conquistato, i documenti dell’epoca sono assai vaghi, accennandovisi: ad imbarcare a Suez un corpo di spedizione da inviare in soccorso di Tipoo Sahib; ad eseguire addirittura il taglio dell’istmo – taglio che Buonaparte infatti fa studiare e personalmente studia durante il suo soggiorno in Egitto, ma pel quale sarebbero necessariamente occorse diecine di anni – od anche a raggiungere il lontano obiettivo per via di terra, attraverso la Siria, l’Irak e l’Iran. E non mancò neppure qualche accenno al ritorno di Buonaparte e dei suoi soldati dall’Egitto in Europa, attraverso la Siria, l’Anatolia e Costantinopoli … Ma tutto ciò è evidentemente troppo indeterminato e, in parte notevole, è così fantastico, da riconoscervi a stento la solita mente riflessiva di Buonaparte. La spiegazione di tale indeterminatezza si trova nel fatto che scopo vero della spedizione era per Buonaparte soltanto questo: rimaner fuor di Francia per qualche mese – fino a quando cioè non vi maturasse una situazione politica favorevole alle sue mire – avendo in pari tempo modo di accrescere il proprio prestigio di generale vittorioso e di abile uomo di Stato, nonché di acquistare nuove benemerenze colla conquista di ricchi territori e coll’ampliamento dell’influenza francese nel Levante. All’infuori di questo programma ben definito, tutto il resto era quasi esclusivamente fantasia, destinata a colpire l’immaginazione dei buoni Francesi e ad alimentare la loro ammirazione per il giovane eroe che si apprestava a ricalcare le orme di Alessandro il Grande.».
[7] Espressione di A. Zorzi, Venezia austriaca, LEG Edizioni, Gorizia 2000, p. 44.
[8] Sul punto, A. Vacca Migliorini, Da Valmy, cit., pp. 281ss.
[9] A. Malraux, (a cura di), Napoleone Bonaparte. Autobiografia, cit., p. 43.
[10] A. Malraux, (a cura di), op. cit., ibidem.
[11] A. Malraux, (a cura di), op. cit., p. 47.
[12] G. Rabizzani, (a cura di), I bullettini di Napoleone, cit., p. 32.
[13] G. Rabizzani, (a cura di),op. cit., ibidem.
[14] G. Rabizzani, (a cura di),op.cit., pp. 76, 78.
[15] A. Malraux, (a cura di), op. cit., p. 105.
[16] A. Lumbroso, Napoleone e il Mediterraneo, L(ega). N(avale). I(taliana)., Genova 1934, p. 18.
[17] A. Malraux, (a cura di), Napoleone Bonaparte. Autobiografia, cit., p. 103: «Noi siamo trenta milioni di uomini, tenuti insieme dai Lumi, dalla proprietà e dal commercio; tre o quattrocentomila militari non sono niente accanto a questa massa. I soldati stessi sono i figli dei cittadini.» (lettera del 4 maggio 1802), p. 103.
[18] A. Malraux, (a cura di), op. cit., p. 54.
[19] E. Ludwig, Napoleone, cit., p. 115.
[20] E. Ludwig, op. cit., p. 125.
[21] G. Forster, Lettera a Johannes Mueller, 20 dicembre 1783, cit. in E. Hornung, Egitto esoterico. La sapienza segreta degli Egizi e il suo influsso sull’Occidente, Lindau, Torino 2006, p. 183.
[22] A. Plebe, Che cos’è l’illuminismo, Ubaldini ed., Roma 1967, p. 29, 87 ss.
[23] Sul punto, A. Plebe, op. cit., p. 62 ss.
[24] E. Friedell, Aufklärung und Revolution: Aus Kulturgeschichte der Neuzeit, citato in A. Plebe, op. cit., p. 108.
[25] Sul nesso tra la teosofia e il movimento New Age, E. Hornung, Egitto esoterico, cit., p. 211.