L’Unione Europea, di cui l’Italia è uno dei ventisei Stati membri, nasce dall’intuizione di alcuni leader visionari che hanno attraversato il Novecento. Senza il loro impegno e la loro determinazione non potremmo, infatti, pensare oggi di vivere in uno dei continenti più sicuri e stabili del Pianeta Terra.
La storiografia moderna indica come principali promotori della genesi dell’integrazione europea un gruppo eterogeneo di persone, prevalentemente intellettuali e rappresentanti politici, di diverse nazionalità ed estrazioni sociali, mossi dagli stessi ideali: promuovere e tutelare la pace, l’uguaglianza e la democrazia al fine di prevenire conflitti futuri.
Nonostante la stampa, soprattutto nelle ultime decadi, annoveri tra i pionieri del progetto europeo parecchie personalità politiche[i], meritano una menzione particolare, per la loro personale caratura e per l’impegno profuso, tre cattolici, uomini di frontiera e perseguitati dalle dittature nazifasciste: il francese Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer e l’italiano Alcide De Gasperi.

Konrad Adenauer, Cancelliere della Repubblica federale di Germania dal 1949 al 1963, concepiva l’Europa unita come unico strumento efficace per raggiungere e mantenere una pace duratura tra le Nazioni ex belligeranti, prime fra tutte la Germania e la Francia.
Il pensiero europeista di Adenauer è racchiuso, in sintesi, nel discorso da lui pronunciato a Bad Ems il 14 settembre del 1951.
Memorabili le sue parole: «[…] L’integrazione politica dell’Europa non è soltanto un còmpito tra la Francia e la Germania, […] ma è qualcosa di più grande e di più ampio. Ad essa appartengono anche l’Italia, il Benelux, l’Austria e – qualora possibile – anche i Paesi nordici e l’Inghilterra. E quest’integrazione dell’Europa deve essere raggiunta per salvare la cultura occidentale e l’Europa cristiana dall’avanzata russa. L’integrazione dell’Europa è, dunque, l’unica possibile salvezza dell’Occidente cristiano.»[ii].
Da tali considerazioni emerge chiaramente che, per Adenauer, l’Europa unita, fondata sull’antropologia cristiana che mette al centro degli interessi politici sociali ed economici la persona umana, costituiva un tassello fondamentale per ricostruire la storia dell’Occidente. In particolare, egli auspicava, da un lato, di ripristinare la pace e la sana diplomazia tra gli Stati europei duramente colpiti dai due conflitti mondiali e, dall’altro, di assicurare alla Germania post-nazista un futuro di democrazia, prosperità e stabilità politica interna ed internazionale. E, per dare attuazione a tale progetto, condusse una politica estera estremamente avanguardista per l’epoca, tanto da sigillare la riconciliazione definitiva con la Francia, nel 1963, firmando il Trattato dell’Eliseo.
Di Robert Schuman può dirsi che nessuno come lui ha incarnato il simbolo dell’integrazione europea.
Nacque nel 1898 in Lussemburgo da padre francese, divenuto poi cittadino tedesco in séguito all’annessione del territorio nativo da parte della Germania, e da madre lussemburghese.
Alla nascita, Schuman era un cittadino tedesco ma al termine della Prima guerra mondiale, poiché la regione dell’Alsazia-Lorena era stata restituita alla Francia, acquistò la cittadinanza francese.
Negli anni immediatamente successivi al Primo conflitto mondiale, abbandonò la professione di avvocato per dedicarsi completamente alla politica, divenendo, soprattutto nel secondo dopoguerra, uno dei massimi rappresentanti politici francesi e ricoprendo i ruoli di Ministro delle Finanze, Primo Ministro nel 1947, Ministro degli Esteri dal 1948 al 1952 e di nuovo Ministro delle Finanze dal 1955 al 1956.
Sicuramente l’esperienza delle due guerre e, in particolar modo, dell’orrore nazista – tra l’altro, lui personalmente aveva rischiato nel 1940 di essere deportato nel campo di concentramento di Dachau – gli aprì la mente alle intuizioni europeiste.
Riteneva doveroso, in primis, ricostruire un rapporto pacifico tra Francia e Germania e, in secundis, costruire ex novo un’alleanza politica ed economica tra i Paesi europei.
Celeberrimo è il discorso che Schuman pronunciò, il 9 maggio 1950, a Parigi, nella Sala dell’orologio della sede del Ministero degli Esteri francese , al n. 37 di Quai d’Orsey, discorso noto come Dichiarazione Schuman.
In esso lui propose che la gestione ed il controllo dell’intera produzione franco-tedesca di carbone e acciaio venissero affidati ad un’unica Autorità super partes[iii].
E fu sicuramente una proposta rivoluzionare all’epoca, perché fondere la produzione carbo-siderurgica dei due Stati significava, da un lato, impedire un riarmo futuro e, dall’altro, abbandonare definitivamente i rancori del passato visto che, da secoli, Francia e Germania si contendevano i siti di produzione del carbone e dell’acciaio in quanto posti in zona di confine politico. Ciò è quanto si evince dalle parole pronunciate dall’allora Primo Ministro francese, Georges Bidault, secondo cui «la fusione della produzione di carbone e di acciaio tra Francia e Germania assicurerà sùbito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime».

nel 1950
Dunque, l’Europa federale di Schuman doveva realizzarsi attraverso la cooperazione economica tra le Comunità europee, per poi orientarsi in altri settori politici e culturali. A tal proposito sovviene ancora un passo della Dichiarazione: «L’Europa deve cessare di essere un insieme geografico di Stati giustapposti per divenire una comunità di nazioni distinte ma associate in uno sforzo difensivo e costruttivo. Non si tratta di un rimedio temporaneo destinato a scongiurare un pericolo eccezionale ma […] deve divenire un’entità attiva, consapevole delle proprie peculiarità, e organizzarsi alla luce dei propri bisogni e delle proprie possibilità.»[iv].
Quanto all’Italia, Alcide De Gasperi, Primo Ministro in carica dal 1945 al 1953, consapevole dell’arretratezza economica e dell’isolamento politico in cui versava la Nazione all’indomani del Secondo conflitto mondiale, vede nell’intuizione di Schuman l’occasione di reinserire il Paese nella compagine europea.
Non a caso, il suo principale obiettivo era proprio quello di garantire all’Italia la connessione con il mondo occidentale, visto che durante la Conferenza di pace, tenutasi a Parigi nel 1946, l’Italia veniva percepita non solo come Paese sconfitto in guerra ma ancora come Stato nemico.
L’idea di un’Europa unita, intesa in termini federali, gli stava molto a cuore.
Lui credeva fermamente che solamente percorrendo la strada dell’Unione si sarebbe giunti alla pace e alla democrazia in Occidente: proprio su questi valori il suo pensiero incontrava quello sia di Schuman sia di Adenauer.
È, tuttavia, doveroso precisare che la teoria europeista di De Gasperi aveva un quid pluris rispetto alle altre: egli era convinto che l’Europa unita, al di là della sua architettura istituzionale necessaria per regolare il settore economico, dovesse avere un’anima. Riteneva cioè fondamentale creare, accanto alle istituzioni europee, una vera mentalità europea, senza la quale nessuna istituzione federale avrebbe potuto funzionare.
Più volte sottolineò nei suoi discorsi al pubblico l’importanza della diffusione del pensiero europeista, come ad esempio fece ad Aquisgrana, il 24 settembre 1952: «Le istituzioni sopranazionali sarebbero insufficienti, e rischierebbero di diventare una palestra di competizioni di interessi particolari, se gli uomini ad esse preposti non si sentissero mandatari di interessi superiori ed europei. Senza la formazione di questa mentalità europea ogni nostra formula rischia di rimanere una vuota astrazione giuridica.»[v].
Del resto, il suo europeismo nasceva soprattutto da una concezione profondamente cristiana dell’agire politico. Egli era convinto, così come Schuman e Adenauer, che la comune eredità cristiana dovesse essere il fondamento dell’integrazione dei popoli europei e della costituzione di un’autorità sovranazionale in grado di esorcizzare per sempre il ritorno dei nazionalismi.

nel 1953
Alla luce delle loro convinzioni e del loro impegno politico, i tre costruttori dell’integrazione europea avevano in mente di dar vita ad una realtà adagiata su valori, tradizioni e strutture univoche che la storiografia definirà successivamente «l’esperienza comunitaria in senso proprio»[vi].
Pertanto, l’idea iniziale era quella di forgiare un’alleanza tra i singoli Stati del continente europeo, inizialmente in numero di sei, per costruire un ente sovranazionale – alla stregua della NATO – in grado di mantenere nel tempo relazioni diplomatiche pacifiche. L’Europa Unita, dunque, doveva assumere la veste di locus amoenus in cui ogni membro, mantenendo la propria identità politica e la propria unicità culturale e sociale, si sarebbe impegnato per garantire la pace, la democrazia e la libertà tra i popoli.
Ora, se si volge lo sguardo al presente, si deduce facilmente che l’assetto originario ha subìto profonde evoluzioni. E tale mutamento dipende dal fatto che l’integrazione europea, dalle prime comunità all’attuale Unione Europea, ha seguìto due metodi distinti: un metodo tradizionale, applicato dai Padri fondatori per la costituzione della CECA nel 1951, della CED nel 1952, della CEE nel 1957 e dell’EURATOM nel 1957[vii], e un metodo più innovativo, seguìto dai rappresentanti politici europei a partire dagli anni Novanta del secolo scorso.
Il modus operandi adottato dai pionieri cui si è fatta menzione precedentemente ha prodotto la nascita di una cooperazione intergovernativa, in cui gli Stati partecipanti dovevano cooperare tra loro attraverso la costituzione di apposite strutture ad hoc, senza dismettere la loro sovranità. Le linee guida sulle quali si fondava tale cooperazione erano le seguenti: prevalenza di organi di Stati, dunque le persone che sedevano nei tavoli europei agivano quali rappresentanti dello Stato di appartenenza, seguendo le direttive impartite da quest’ultimo; prevalenza del principio dell’unanimità, in virtù del quale le deliberazioni venivano assunte prevalentemente all’unanimità, attribuendo dunque ad ogni Stato il diritto di veto; e, da ultimo, assenza o eccezionalità del potere di adottare atti vincolanti, visto che le deliberazioni avevano natura di raccomandazione.
Il metodo delineato, che segna dunque l’esperienza comunitaria in senso proprio, viene accantonato con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht prima, sottoscritto nel 1992, e con il Trattato di Lisbona poi, firmato il 13 dicembre 2007.
Con la nascita dell’Unione Europea[viii], che sostituisce integralmente la Comunità europea, prende piede il metodo innovativo. Esso poggia sui seguenti princìpi: prevalenza di organi di individui, pertanto le persone che siedono nelle Istituzioni europee rappresentano se stesse e non lo Stato di appartenenza, sono portatrici di proprie opinioni e compiono scelte in maniera del tutto indipendente; prevalenza del principio maggioritario; potere di adottare atti vincolanti che creano a carico degli Stati membri obblighi aggiuntivi rispetto a quelli che hanno assunto concludendo i Trattati istitutivi; ampliamento delle competenze materiali; e, da ultimo, sindacato di legittimità da parte di un organo giurisdizionale istituito ad hoc.
In definitiva, con l’avvento dell’Unione Europea gli Stati membri hanno ceduto porzioni di sovranità in merito a quelle materie che i Trattati definiscono di competenza esclusiva dell’Unione e settori di sovranità parziali nei riguardi delle materie di competenza concorrente.
Alla luce di quanto sin qui detto, non è agevole definire quale sia oggi la natura dell’Unione Europea. Sicuramente l’idea originaria promossa dai Padri fondatori, ossia quella di costituire una mera organizzazione internazionale per sigillare la pace in Europa, è stata ampiamente superata. Allo stesso modo non può dirsi che l’Unione europea, in virtù dei recenti Trattati, abbia assunto le vesti di Stato federale, poiché gli Stati membri – seppur sottoposti a numerosi e pesanti vincoli – non hanno perso la loro sovranità individuale.
In conclusione, scartate entrambe le teorie secondo le quali nell’una l’Unione europea si configurerebbe come un’organizzazione internazionale e nell’altra come uno Stato Federale, avanza una terza tesi imperniata sulla unicità ed eccezionalità dell’Unione, quasi a consacrarla come tertium genus a sé stante. Essa appare come «una realtà originale, estranea agli schemi noti e dinamica perché soggetta ad un continuo ed inesorabile processo di trasformazione e di rafforzamento, il cui esito finale non è ancora oggi prevedibile»[ix].
L’Unione europea sembra, dunque, sul piano giuridico un ibrido, che inevitabilmente lascia aperti dubbi, perplessità e genera irrimediabilmente aspre critiche.
Impossibile tornare al passato, necessario guardare al futuro.
E quale potrebbe essere il futuro possibile per l’Unione? Quale la migliore strada da percorrere? Il federalismo promosso da Beniamino Caravita di Toritto[x] o il mito dello sdoppiamento avanzato da Sergio Fabbrini[xi]?
Ai posteri l’ardua sentenza.
[i] Per l’elenco completo dei Padri fondatori, si rimanda ai seguenti indirizzi internet: https://european-union.europa.eu/principles-countries-history/history-eu/eu-pioneers_it; http://europa.eu/pol/index_it.htm.
[ii] Tratto da K. Adenauer, Reden 1917-1967. Eine Auswahl, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart 1975, p. 224-232, consultato sul sito internet https://rivistadialoghi.it/22018/profili/konrad-adenauer-e-gli-albori-dell%E2%80%99europa-unita.
[iii] È diffusa opinione che il testo dell’importante discorso – chiaramente ispirato alle idee di Jean Monnet, eminente politico ed economista, primo Commissario generale del Commissariato generale al Piano di creazione gollista – sia stato addirittura redatto dal Monnet.
«Schuman fu il portavoce politico di un piano ideato in realtà da Jean Monnet, il cui prefissato obiettivo finale era la creazione di una Federazione Europea.» (cfr. https://massimedalpassato.it/9-maggio-1950-dichiarazione-schuman).
«E non a caso la festa dell’Europa cade il 9 maggio. In quella data, nel 1950, proprio Robert Schuman pronunciò un discorso destinato a diventare una pietra miliare dell’Ue. Erano le 16 quando, nel Salone dell’orologio del Ministero degli Esteri francese, a Parigi, pronunciò quella che è passata alla Storia come Dichiarazione Schuman. Un discorso scritto insieme ai suoi collaboratori, e in particolare a Jean Monnet. La premessa del Piano Schuman era, del resto, proprio un concetto già espresso qualche anno prima da Monnet: “Gli Stati europei sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la necessaria prosperità e lo sviluppo sociale. Le Nazioni europee dovranno riunirsi in una Federazione.”.» (v. https://www.cittanuova.it/politici-verso-la-santita-lesempio-robert-schuman/?ms=003&se=020).
«Il 9 maggio 1950, Robert Schuman, ministro degli Affari Esteri francesi, rese la cosiddetta Dichiarazione Schuman a nome del Governo francese. La Dichiarazione venne promossa e preparata da Monnet e proponeva di porre l’intera produzione franco-tedesca di carbone e acciaio sotto l’egida di un’Alta autorità.» (v. https://www.europedirect.unisi.it/wp-content/uploads/sites/32/2015/11/I-padri-fondatori-dell%E2%80%99UE.pdf).
[iv] F. Roth., Robert Schuman. Du Lorrain des frontières au Père de l’Europe, Fayard, Paris 2008, p. 537.
[v] Cfr. Fondazione De Gasperi, (a cura di), Unione Europea. Storia di un’amicizia. Adenauer, De Gasperi e Schuman, Itaca, Castel Bolognese 2017, pag. 44.
[vi] L. Daniele, Diritto dell’Unione europea. Sistema istituzionale – Ordinamento – Tutela giurisdizionale – Competenze5, Giuffrè, Milano 2014, p. 13 ss.
[vii] CECA: Comunità economica del carbone e dell’acciaio, istituita a Parigi in data 18/04/1951. CED: Comunità europea di difesa, istituita a Parigi il 27/05/1952. CEE: Comunità economica europea istituita a Roma il 25 marzo 1957. EURATOM: Comunità europea per l’energia atomica, istituita in concomitanza con la CEE, dunque il 25 marzo 1957 a Roma.
[viii] V. art 1 terzo comma ultimo periodo Trattato Ue: «L’Unione sostituisce e succede alla Comunità europea».
[ix] L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, cit., p. 50.
[x] B. Caravita di Toritto, Quanta Europa c’è in Europa?, Giappichelli, Torino 2015, passim.
[xi] S. Fabbrini, Sdoppiamento. Una prospettiva nuova per l’Europa, Laterza, Roma-Bari 2017, passim.