Il Code civil del 1804 rappresenta, accanto a quello di commercio (1807) e a quello di procedura civile (1807), il principale contributo dato dalla legislazione napoleonica al diritto civile. Evidenti sono i suoi riflessi nel codice civile italiano del 1865.
Uno degli aspetti più interessanti riguarda senza alcun dubbio la nozione di contratto accolta dal codice napoleonico, l’impostazione sottostante e le sue ripercussioni nell’àmbito dell’ordinamento italiano, sia sotto il profilo del concetto di causa del contratto che nella sfera dei suoi effetti, nello specifico degli effetti reali. Dunque, nel redigere queste brevi note, l’intento nostro sarà quello di porre a paragone il codice napoleonico con la legislazione italiana, evidenziando convergenze e divergenze.
Il Code civil del 1804 definiva il contratto come «une convention par laquelle une ou plusieurs personnes s’obligent, envers une ou plusieurs autres, à donner, à faire ou à ne pas faire quelque chose».
È nel rapporto contrattuale, così come configurato dalla legislazione napoleonica, che si salda un nesso stabile col diritto delle obbligazioni, diritto che esprime relazioni di carattere patrimoniale implicanti il sorgere di diritti e doveri. Sotto tale profilo, dunque, l’idea dominante sotto la vigenza del Codice del 1804 era quella per cui il contratto, compreso quello a effetti reali, fosse esclusivamente fonte dell’obbligazione, e che non fosse possibile concepire una causa del contratto che non fosse la causa dell’obbligazione. La possibilità di stipulare contratti aventi come effetto esclusivo l’immediato trasferimento del diritto, senza l’intermediazione di un’obbligazione, era, in questa prospettiva, inconcepibile. Cosicché la causa del contratto finiva sempre e solo per identificarsi con lo scopo perseguito dal contraente nel momento in cui assumeva un certo obbligo. Arrivando così a riferire la causa non già al contratto ma alla volontà del contraente, si poneva rilievo all’aspetto soggettivo dell’utilità perseguita dal singolo individuo piuttosto che al dato oggettivo del ruolo svolto dal negozio giuridico.
In punto di causa così intesa, occorre far riferimento al pensiero di Grozio e Pufendorf che ha influenzato la scuola giusnaturalistica e le matrici culturali che sono alla base del Code civil.
Secondo Grozio, il contratto è il mezzo per costruire e far sviluppare una società, e la configurazione del soggetto trova giustificazione nella volontà dell’individuo, non nella mera ragione divina. Questo processo di laicizzazione, che dà vita alla categoria del soggetto giuridico astratto e generalizzato, libera la volontà dell’individuo, il quale trova espressione nel contratto. Nel sistema groziano gli atti privati e la vincolatività del consenso contrattuale si fondano sulla promessa, il cui carattere obbligatorio si basa sul presupposto di una causa ragionevole. Il richiamo alla causa dell’obbligazione tende ad escludere l’idea di un patto giuridicamente vincolante solo in quanto voluto. Secondo Pufendorf, il contratto è l’unico mezzo adeguato ad assicurare i diritti naturali dell’individuo dentro la struttura dello Stato. Si forma nel raggiungimento dell’accordo, il cosiddetto in idem placitum, e gli effetti di esso trovano la loro fonte nel contratto medesimo, nel consenso. Si tratta di una prospettiva legata all’idea che nel consenso si trovi l’unica ragione giustificativa degli effetti del contratto, riducendo il requisito della causa al solo profilo soggettivo.
Il codice napoleonico sembra, pertanto, aver fatto propria una linea di pensiero diffusasi da tempo nella cultura giuridica europea (giusnaturalista), in base alla quale al centro dell’universo politico, sociale e giuridico vi è l’uomo e il suo destino. Da qui le conseguenze sul piano della causa e del concetto stesso di contratto, inteso come strumento in cui confluisce la volontà del contraente. Peraltro, in proposito può riportarsi il pensiero di Pothier secondo cui la causa dell’obbligazione che vincola una delle parti sta in ciò che l’altra parte presta. In caso di contratto di scambio, infatti, si ipotizzavano due diverse cause riferite alle due diverse obbligazioni, trascurando di conseguenza la sussistenza dell’unicità dello strumento contrattuale.
Il superamento di questa impostazione soggettivistica avvenne con gradualità.
Innanzitutto, al concetto di obbligazione si sostituì quella di prestazione, di matrice tedesca, più idonea a ricomprendere tutte quelle vicende non strettamente obbligatorie ma immediatamente traslative.
Il mancato riferimento all’obbligazione portò, dunque, ad un abbandono della concezione soggettiva a vantaggio di una prospettiva oggettiva.
Da qui si giunse, per quanto riguarda le vicende della legislazione italiana, con il codice civile italiano del 1942, alla identificazione della causa, in ultima analisi, con la funzione economico-sociale del contratto.
Secondo questa impostazione, la causa del contratto si qualifica come causa astratta, la ragione tipica del contratto.
Tuttavia, viene da chiedersi come sia possibile, identificando la causa con il tipo legale, configurare un’ipotesi di illiceità della causa ex art. 1343 c.c. con riferimento ad uno schema negoziale tipizzato, come nel caso ad esempio della compravendita.
Proprio per questo motivo, parte della dottrina si è dedicata a rivedere il concetto di causa, operando un recupero dell’impostazione soggettivistica, non già però come mero ritorno all’identificazione tra causa e scopo soggettivo perseguito dai contraenti, piuttosto parlando di funzione economico-individuale.
Si pone, dunque, l’accento sull’analisi del concreto contesto economico in cui i privati agiscono, intendendo la causa come ragione concreta dell’affare.
Il diverso sviluppo concettuale della nozione di causa, dunque, pone oggi molteplici interrogativi diversamente analizzabili a seconda dell’impostazione accolta. La causa rileva, infatti, quale criterio di valutazione della meritevolezza sociale dell’interesse perseguìto, quale criterio di interpretazione del contratto, di qualificazione e di adeguamento del contratto stesso.
Sotto il diverso profilo degli effetti contrattuali, occorre, invece, porre attenzione sulla distinzione tra effetti obbligatori ed effetti reali.
Nel caso di contratto ad effetto obbligatorio, l’effetto consiste nella nascita di un rapporto obbligatorio, un vincolo atto a modificare i patrimoni dei contraenti, costituendo, modificando o estinguendo rapporti giuridici patrimoniali, mentre per contratto ad effetti reali ex art. 1376 c.c. si intende quel rapporto in cui l’effetto immediato del consenso consiste nel trasferimento del diritto, secondo il più ampio principio consensualistico che trova applicazione nell’àmbito di tutti i contratti di alienazione, sia che abbiano ad oggetto diritti reali sia che abbiano ad oggetto altri diritti.
Tale principio, o principio del consenso traslativo, trae le sue origini dalla regola adottata dal codice napoleonico, poi recepita dal codice civile italiano del 1865, regola che, pur non ricevendo un riconoscimento esplicito nel Code civil, può essere ricavata dalla combinazione degli artt. 1582 e 1583 in materia di vendita e dall’art. 1138.
Secondo quanto stabilito dall’art. 1138 del Code civil, «L’obligation de livrer la chose est parfaite par le seul consentement des parties contractantes. Elle rend le créancier propriétaire et met la chose à ses risques dès l’instant où elle a dû être livrée, encore que la tradition n’en ait point été faite, à moins que le débiteur ne soit en demeure de la livrer; auquel cas la chose reste aux risques de ce dernier». Dunque, con l’enunciazione di questa regola nel codice napoleonico, il legislatore francese aveva inteso superare la diversa regola dell’investitura formale del diritto, propria del diritto romano, che prevedeva la necessità della consegna della cosa al fine della trasmissione della proprietà.
Il perfezionamento del contratto, ovvero dell’obbligo di consegna della cosa, si raggiunge con il solo consenso delle parti contraenti. In realtà, occorre precisare che il Code civil non fece altro che accogliere una pratica negoziale che si era venuta a manifestare nelle regioni francesi di tradizione romanistica, dove la consegna costituiva una mera clausola di stile e il consenso era sufficiente a trasmettere la proprietà. Peraltro, come sopra esposto e come si desume dallo stesso art. 1138 del Code, è necessario sottolineare che anche nel caso dei contratti ad effetti reali il principio del consenso traslativo non faceva venir meno la configurabilità di un’obbligazione, qualificandosi essa stessa come strumentale al perseguimento dell’effetto finale di carattere reale.
Il principio consensualistico è stato fatto proprio anche dal legislatore italiano del 1942, che lo ha cristallizzato all’art. 1376 c.c. secondo cui la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. Si tratta, dunque, di un principio che pone problemi in termini di conciliabilità con l’idea del contratto quale fonte dell’obbligazione, in base alla quale l’effetto immediato e imprescindibile che scaturisce dall’accordo è la nascita di un vincolo, cioè di un rapporto obbligatorio.
Sul punto, oggi nella dottrina italiana sono individuabili due orientamenti differenti.
Posto che nei contratti traslativi il trasferimento del diritto è effetto immediato del consenso, secondo taluni, non sarebbe ravvisabile l’intermediazione di un effetto obbligatorio. Certo è che la stessa definizione di contratto espressa all’art. 1321 c.c. sembra risentire dello stretto collegamento instaurato dall’art. 1173 c.c., che configura il contratto come fonte dell’obbligazione, collegamento che induce a non considerare la possibilità di un effetto immediato diverso da quello obbligatorio in àmbito contrattuale. Per questo, secondo altri, anche in caso di contratto traslativo nascerebbe tra alienante ed acquirente un rapporto obbligatorio avente ad oggetto l’obbligo per l’alienante di far acquistare il diritto all’acquirente, sia nelle ipotesi in cui ciò non è effetto immediato del contratto ex art 1476 n. 2 c.c., sia, in generale, nel senso di assicurare all’acquirente stesso la titolarità del diritto rispetto ad altrui rivendicazioni.
Secondo questa impostazione, quindi, l’obbligo di far acquistare il diritto si configura come meramente strumentale, mentre l’effetto finale perseguito dalle parti rimane quello non già di carattere obbligatorio ma reale, consistente nel trasferimento di un diritto che si ricollega al mero consenso legittimamente manifestato.
Alla luce di quanto esposto, occorre, pertanto, sottolineare il contributo indiscutibile che la legislazione napoleonica ha dato al diritto civile, quale fondamentale momento di costruzione e/o definizione di istituti giuridici.
Istituti che in parte hanno cambiato volto nel corso del tempo, ma che trovano nel Code civil la loro radice o quanto meno un punto fermo assai importante del loro complessivo sviluppo.