1. Premessa.
Anche soltanto accennare all’importanza storica di Jacques Maritain, in poche pagine, è impossibile. Infatti, quel filosofo francese (1882-1973) ha attraversato il Novecento come un vento purificatore, all’interno e all’esterno della Chiesa Cattolica, sia pure con tutte le polemiche che ha provocato, le mistificazioni e i silenzi. In una parola, si potrebbe dire che Maritain «è» il Novecento, almeno da parte cattolica, essendo il suo pensiero equidistante tanto dalla ideologia liberale quanto dalla politica socialista. Una precisazione è comunque necessaria: a causa della fecondità degli scritti e degli insegnamenti, che vanno dagli anni dieci all’inizio degli anni settanta e della varietà degli accenti, dovuti a una personale maturazione, anche in corrispondenza degli eventi che hanno caratterizzato il secolo breve, «l’epoca più violenta della storia»[i], si possono distinguere quattro nuclei del pensiero mariteniano, se si esclude il periodo radicale, antecedente alla conversione[ii]: la fase antistoricistica, che trova la sua massima espressione nell’esplosivo Antimoderne, del 1922, e, in minor misura, nel celebre I tre riformatori, del 1925, tradotto in italiano dall’allora Mons. Montini; la fase “antitotalitaria”, che trova il suo centro nel celeberrimo Humanisme intégral/Umanesimo Integrale, del 1936, che ogni persona di media cultura, a qualunque Dio creda o non creda, dovrebbe leggere e rileggere[iii]; la fase “universalista”, del periodo americano (1940-1960); la fase ultima, che trova espressione ne Le paysan de la Garonne, per molti versi inaspettato nell’epoca post-conciliare, da parte di chi il Concilio aveva anticipato[iv].
Questo contributo parte da un’ipotesi: che il Maritain (dell’Umanesimo integrale o del periodo “americano”) sia uno degli ispiratori del progetto originario dell’Europa unita, così come si è concretizzato nel Trattato di Roma del 1957, così da porsi accanto ai padri riconosciuti: Monnet, Schuman, Adenauer, De Gasperi, Spaak.
2. Maritain e l’idea di Europa unita, democratica e solidale.
Un dato di fatto è innegabile: quando Humanisme intégral venne dato alle stampe, i nazionalismi infuriavano in Europa e si preparava la prosecuzione della Grande Guerra, in modo ancor più rovinoso dell’“Inutile Strage”; dopo vent’anni da quella pubblicazione, l’Europa unita, nella sua prima versione “solidaristica”, vedeva la luce. Nel mezzo, la maturazione di una nuova idea di Stato, dei rapporti tra Stati, dei rapporti tra religione e Stato, dei rapporti tra persona e Stato. Tutti temi che si rinvengono, più o meno chiaramente, all’interno di Umanesimo integrale e degli scritti successivi di J. Maritain. Soltanto una profezia, dovuta a una mente illuminata? Soltanto una coincidenza temporale? Può essere, eppure il libro circolò a lungo in modo clandestino prima e durante la Seconda Guerra mondiale e poi liberamente, ispirando singoli e uomini politici in esilio o in clandestinità e poi partiti e correnti di partito, al punto che nel 1949 durante il terzo congresso della Democrazia cristiana i seguaci di Dossetti alla domanda del presidente Piccioni su cosa volessero, sintetizzarono il programma urlando: «Vogliamo l’umanesimo integrale!»[v].
Potrebbe costituire un post hoc propter hoc la corrispondenza tra i temi di Umanesimo integrale nonché degli scritti “americani” di Maritain e i contenuti del Trattato di Roma, del 1957, soprattutto nella parte relativa ai diritti di singoli e di organizzazioni collettive. D’altra parte, il pensiero mariteniano dell’epoca si inserisce a pieno titolo in una sorta di koinè culturale di matrice cristiana, il cd. neotomismo o personalismo – a cui appartengono tra gli altri, con vari accenti, Gilson, Mounier, de Rougemont, La Pira, Gonella, Olgiati, Capograssi –, sorta in risposta al dibattito sul tramonto dell’Occidente, sviluppatosi sulle ceneri della Grande Guerra e in reazione dell’antimodernismo tardo-ottocentesco. Dunque, le istanze di libertà e dignità sociale, che trovano ampio spazio nel Trattato di Roma potrebbero scaturire proprio da quel clima culturale, in cui si inseriscono, tra gli altri, gli specifici insegnamenti mariteniani.
Ancora, è innegabile che gli eventi bellici mostrarono a chiunque avesse un po’ di raziocinio, a qualunque religione aderisse, che la causa della trentennale nuova Guerra europea (anzi mondiale) non doveva identificarsi (esclusivamente) nelle manie belliciste di quello o quell’altro leader politico, né (esclusivamente) in questioni territoriali-economiche irrisolte, bensì nell’ipertrofia dello Stato, così come si era venuto sviluppando dalla pace di Westfalia prima e dall’imperialismo napoleonico poi e, correlativamente, nell’impiego della guerra (militare e/economica) come strumento unico di relazione tra i Leviathan. Di qui, la possibilità che l’origine dell’Unione europea, con il suo portato in termini di pluralismo, democrazia, antistatalismo debba rinvenirsi in un coacervo di idee (l’anti- totalitarismo) collegato a fatti storici (ben evidenziati dalle rovine fumanti provocate dalle dittature), più che nella dottrina neotomista e nella tensione spirituale di un professore universitario, per quanto apprezzato (ma fino a un certo punto, proprio tra i cattolici[vi]).

3. Maritain e l’influenza sui padri fondatori.
Tuttavia, l’ipotesi che Maritain in qualche modo abbia ispirato i contenuti del Trattato di Roma (e financo il nome dell’inedito organismo sovranazionale che da esso deriva[vii]) trova un qualche fondamento in un dato fattuale: i rapporti di frequentazione e financo di amicizia tra il filosofo parigino e alcuni dei padri fondatori della Comunità economica europea.
È noto che l’embrione dell’Europa unita debba rinvenirsi in un’idea geniale di J. Monnet e R. Schuman, la costituzione di un’inedita Autorità franco-tedesca per la gestione comune del carbone e dell’acciaio dell’area della Ruhr-Saar, che era all’origine delle tensioni, almeno dal 1870, tra Germania e Francia. Di qui, un passo più avanti, nel 1951, la CECA, fondata sui medesimi presupposti e con le medesime finalità, ma con il coinvolgimento di altri Stati europei. E infine, il 25 marzo 1957, grazie a una specifica proposta di De Gasperi di rinuncia permanente degli Stati ad una quota di risorse nazionali[viii], la CEE, con un ben più ampio programma di integrazione politica, economica e sociale. Orbene, nel bel libro di Victoria Martin de la Torre, L’Europa raccontata dai padri fondatori, si aggiunge che due tra gli ideatori dell’Europa unita, Schuman e De Gasperi, oltre all’affinità dovuta al fatto di essere entrambi «uomini della frontiera» (il primo trentino e il secondo lorenese) e alla forte fede cristiana, ebbero un amico in comune, il filosofo Jacques Maritain: «Il libro di Maritain Umanesimo integrale ha aperto ai cattolici nuove finestre sulla libertà e la modernità. Il filosofo è un personaggio controverso per i tradizionalisti e i monarchici, ma ha ispirato la visione politica di Schuman e De Gasperi, oltre a mostrare in che modo si può essere un politico cristiano in una democrazia moderna. Robert Schuman ha conosciuto Maritain quando era professore a Parigi (…), De Gasperi conosceva la sua opera già da molto tempo, ma ha avuto anche la possibilità di discuterne con il filosofo in quei giorni a Roma»[ix].
Il legame tra Schuman e Maritain non si limitava ad un’affinità amicale (spinta fino all’ammirazione devota[x]); il cemento ideale era costituito dal pensiero di San Tommaso e dal concetto di «bene comune», che lo statista francese non esiterà a individuare come obiettivo della Comunità economica europea: «Al di sopra di ogni patria noi riconosciamo sempre più distintamente l’esistenza di un bene comune, superiore all’interesse nazionale, nel quale si fondono e si confondono gli interessi particolari dei nostri paesi»[xi]. Il riferimento al bene comune e all’interesse comune costituisce il Leitmotiv del suo testamento spirituale, Per l’Europa, scritto pochi mesi prima di morire[xii]. D’altra parte, quando «San Schuman»[xiii] ravvisava la causa di tutti i mali nelle «angustie del nazionalismo politico, del protezionismo autarchico e dell’isolazionismo culturale»[xiv] e individuava il sentimento di solidarietà europea «nel preservare la pace, nella difesa contro l’aggressione, nella lotta contro la miseria, nel rispetto dei trattati, nella salvaguardia della giustizia e della dignità umana»[xv], sembra di leggere le stesse parole di Maritain, scritte quasi trent’anni prima, all’alba dell’ora più buia della storia[xvi].
Quanto ad Alcide De Gasperi, per dare un’idea della sua consonanza con l’insegnamento di Maritain, occorre ricordare che egli, commentando un articolo che il filosofo francese aveva pubblicato su La vie intellectuelle, il 16 febbraio 1935, intitolato L’idéal historique d’une nouvelle chrétienté[xvii], aveva affermato claris verbis che «il suo (di Maritain: N.d.R.) sforzo di rielaborare gli antichi princìpi in faccia a una nuova situazione, merita ogni lode e imitazione»[xviii]. In breve – è stato scritto –, nella rilettura di Maritain fatta da De Gasperi si rinvengono alcune evidenti linee del pensiero politico dello statista trentino: «un comune personalismo di fondo, orientato alla costruzione di una società che garantisca i diritti e la libertà della persona, in un quadro di democrazia intesa come traduzione in istituzioni e leggi delle libertà necessarie allo sviluppo della persona»[xix]. Questi concetti sarebbero stati ribaditi e precisati in séguito, finita la guerra: la conferenza tenuta da de Gasperi a Bruxelles nel novembre 1948 sulle basi morali della democrazia si ispira ampiamente a Humanisme intégral[xx] e nel 1953, parlando a Roma il 29 novembre 1953, lo statista individuava l’Europa in una «comunità degli spiriti» a partire della persona, intesa come «fine» e non come mezzo[xxi]. In breve, la consonanza tra i due è evidente, sul tema della democrazia come garante della libertà della persona, della distinzione tra politica e religione, della fede cristiana come lievito della società (e non dello Stato); meno, per quanto riguarda gli aspetti di politica sociale, piuttosto assai presenti in La Pira e Dossetti[xxii].
Non risultano invece collegamenti diretti tra Maritain e gli altri artefici dell’Europa, il cancelliere (cattolico) K. Adenauer[xxiii], il pragmatico J. Monnet e il socialista P. H. Spaak.

4. Maritain e il Trattato di Roma.
In mancanza di notizie più sicure su specifici colloqui tra Maritain, De Gasperi e Schuman sulla tematica europeista[xxiv], occorre procedere con il metodo induttivo e verificare se nel Trattato del 1957 (d’ora in poi, TCEE) siano presenti puntuali riferimenti al programma ideologico-politico tracciato da Maritain in Umanesimo integrale e nel successivo L’uomo e lo Stato, del 1951.
Bisogna evidenziare fin da subito che – nell’intendimento di Schuman, di Adenauer e Monnet –, il nuovo organismo sovranazionale avrebbe dovuto avere un chiaro impianto morale (ossia spirituale e sociale), al di là delle immediate preoccupazioni e finalità economiche. Quanto al programma europeo “neotomista” di Schuman, si è già detto[xxv].
Ora basterà aggiungere che, in occasione della creazione del Consiglio d’Europa il 5 maggio 1949, egli parlava apertamente della necessità di una «cooperazione spirituale e politica», in quanto premessa della nascita «dello spirito europeo»[xxvi]. Adenauer, colloquiando con Monnet, nel tracciare le linee della CECA, nel 1950 fu chiaro: «Non sono un tecnico, e non sto parlando ora da politico. Come lei, vedo questa grande impresa sotto il suo aspetto più elevato: l’ordine morale. È la responsabilità morale che abbiamo di fronte al nostro popolo, e non la responsabilità tecnica, quella che dobbiamo mettere in atto per realizzare un sogno di questo calibro»[xxvii]. E ancora, in séguito, con maggiore chiarezza, rivolgendosi alla stampa nel 1951: «Ora non sembra così lontano il giorno in cui i popoli europei, sazi di diritti e di libertà, potranno unirsi sotto quello stesso tetto che porta il nome assai riverito di Europa. Un’Europa realmente nuova, questa casa paterna e comune di tutti gli europei, dovrebbe essere la cittadella della tradizione occidentale e cristiana, una fonte di forza spirituale e un luogo di pacifica operosità»[xxviii]. Negli stessi termini Monnet, rispondendo al cancelliere Adenauer due settimane dopo la dichiarazione del 9 maggio 1950: «L’Europa deve fornire un contributo morale allo sviluppo del mondo. Se riesce ad eliminare da sé stessa le cause della guerra, offrirà al mondo questo contributo spirituale»[xxix], e scrivendo alla moglie, sempre nel 1950, a proposito del pensiero del tedesco Hallstein: «Ovviamente egli ha capito fin dall’inizio che non si tratta di una questione economica, bensì di un’unione di spiriti»[xxx]. De Gasperi, dal canto suo, nel 1954, prima di morire, parlando alla Conferenza parlamentare europea così si esprimeva in merito al patrimonio culturale della Nuova Europa, basato sull’etica cristiana, la democrazia liberale e la giustizia sociale: «Nessuna di queste tendenze prevalenti nell’una o nell’altra sfera della nostra civiltà può pretendere di diventare la sola idea dominante per l’architettura e la vita della Nuova Europa. Semmai queste tre tendenze devono contribuire insieme a costruire qualcosa sulla base di questa idea e nutrirne lo sviluppo libero e progressivo»[xxxi].
Cosa c’entra ciò con Umanesimo integrale di Maritain? Più di quanto sembri. Perché in quel libro era tracciato per la prima volta, nero su bianco, senza infingimenti, il programma del futuro ordine europeo (e possibilmente mondiale) se e in quanto vivificato da un nuovo autentico spirito cristiano, un lievito conciliare. A parte il chiaro indirizzo antitotalitario[xxxii], nell’epoca in cui fascismo, nazismo e stalinismo imperversavano, ivi (e in testi di poco antecedenti e successivi) si immagina un ordinamento giuridico “personalista” (in quanto attento all’integralità dell’essere umano, nelle sue componenti materiali, intellettuali, morali e spirituali)[xxxiii], quindi autenticamente “laico” (in quanto autonomo dalla Chiesa, senza essere avverso alla libertà religiosa)[xxxiv], “democratico”[xxxv], “antibellico”[xxxvi] (ma non irenico[xxxvii]), “pluralista” (in quanto favorevole alla libertà di coscienza e alle varie forme di partecipazione economica)[xxxviii], e, al fondo, antistatalista (nelle forme assunte dallo Stato nell’età contemporanea)[xxxix]. La Comunità economica europea, nell’essenza, è pensata e nasce come rinuncia degli Stati nazionali ad ampie quote di sovranità e quando Maritain scriveva Umanesimo integrale, individuando il nemico nel moderno Stato assoluto, nelle sue varie forme, di destra e di sinistra, mirava proprio al contenimento della potenza del Leviathan: in tal senso egli è il vero anti-Hobbes. Poi, come si è visto, nella mente dei fondatori, il nuovo organismo sovranazionale avrebbe dovuto avere una forte struttura morale ossia spirituale, al di là delle dinamiche economiche, e il Nostro, nello scrivere il capitolo VI del suo libro, individuando le condizioni per un cambiamento epocale in una metanoia degli uomini politici cristiani, in chiave anti-economicistica (nel senso del primato dell’economia) e anti-politicistica (nel senso del primato della politica senza etica)[xl], immaginava proprio un nuovo ordinamento “morale”, in quanto fondato sul primato dei valori a servizio della persona. In tal modo Maritain è il vero anti-Machiavelli. Queste idee, arricchite da una robusta teorica giusnaturalista sui diritti della persona e da più puntuali precisazioni sulle rinunce degli Stati a quote della sovranità sarebbero state riproposte nel citato articolo pubblicato sulla rivista The Commonweal del 1940[xli] e soprattutto ne L’uomo e lo Stato, in cui, tra l’altro si rinviene un ampio capitolo dedicato ai rapporti internazionali, in prospettiva di un’auspicabile unificazione politica del mondo[xlii].
Ciò detto in generale, si constata nel Trattato del 1957 una chiara adesione del nuovo ente sovranazionale ai principi liberal-sociali, in chiave solidaristica, pluralista, “personalista”. Già nel Preambolo si comprendono la finalità perseguite (assicurare il progresso economico e sociale dei Paesi, il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione dei popoli; rafforzare l’unità delle economie e assicurare lo sviluppo armonioso delle stesse; rafforzare le difese della pace e della libertà) e i mezzi impiegati (eliminazione delle barriere che dividono l’Europa, garanzia della stabilità nell’espansione, dell’equilibrio negli scambi e della lealtà nella concorrenza, riduzione delle disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite, adozione di una politica commerciale): le parole che si ripetono sono pace, libertà, prosperità, progresso, uguaglianza, equilibrio. Nel prosieguo il tutto diventa sempre più concreto. Gli artt. 2, 3, 7, 9, 39 Trattato Cee ribadiscono e precisano le finalità della Comunità[xliii] e i relativi mezzi[xliv]. Le disposizioni successive, in particolare quelle di cui agli artt. 48, 52, 53, 59, 85 Trattato Cee specificano le modalità per assicurare la libera circolazione dei lavoratori, la libertà di stabilimento dei cittadini nei vari territori, la libera prestazione dei servizi, la libera e leale concorrenza. Gli artt. 117 e 118 Trattato Cee contengono poi il programma sociale della Comunità: «promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera che consenta la loro parificazione nei progresso», «promuovere una stretta collaborazione tra gli Stati membri nel campo sociale, in particolare per le materie riguardanti l’occupazione, il diritto al lavoro e le condizioni di lavoro, la formazione e il perfezionamento professionale, la sicurezza sociale, la protezione contro gli infortuni e le malattie professionali, l’igiene del lavoro, il diritto sindacale e le trattative collettive tra datori di lavoro e lavoratori».
Queste norme sono il portato delle più avvedute dottrine economiche liberali e sociali dell’epoca, ma chi ha letto Maritain non può non mettere a fronte del Trattato i concretissimi capitoli di Umanesimo integrale e de L’uomo e lo Stato sulla proprietà privata[xlv], sull’uguaglianza fondamentale[xlvi], sul diritto alla libertà personale[xlvii], sul «diritto al lavoro e di scegliere liberamente il proprio lavoro»[xlviii], sul «diritto a un giusto salario, ossia un salario sufficiente ad assicurare il sostentamento della famiglia»[xlix], sul «diritto all’assistenza, all’assicurazione contro la disoccupazione, alle provvidenze sanitarie e alla sicurezza sociale»[l], il tutto, sempre, in vista del soddisfacimento dei bisogni materiali e spirituali della persona, tra cui quello di vivere insieme una vita piena, degna di essere vissuta: «partecipare come uomini, non come bestie, in virtù cioè di una libera accettazione fondamentale a certe comuni sofferenze e a un certo compito comune»[li].
In conclusione, non sembra lontana dal vero l’ipotesi che la dottrina sociale della Chiesa, rivisitata in chiave “personalista” da Maritain, sia transitata soprattutto tramite Umanesimo integrale ai padri fondatori della Comunità economica e da questi sia trasfusa nelle norme del Trattato, dopo essere stata opportunamente laicizzata e resa compatibile con gli apporti liberali e socialisti provenienti dagli altri promotori. In questo senso, volens nolens, la Comunità economica europea ha recepito l’autentica anima cristiana dell’Europa[lii], che Schuman voleva rivitalizzare: «L’umanità… impàri di nuovo, dopo lunghe lacerazioni, la fraternità cristiana»[liii].
5. Maritain e la UE di Maastricht.
A questo punto ci si chiede cosa avrebbe detto e scritto Maritain se avesse assistito alla creazione dell’Unione europea, dovuta al trattato di Maastricht, del 1992 (Trattato Ue) e alle successive modifiche avvenute a Nizza, Amsterdam e Lisbona (Tfue), e soprattutto se avesse assistito al modo in cui questo ente sovranazionale concretamente opera, attraverso le sue istituzioni (in primis la Banca europea) e i suoi funzionari, i cd. eurocrati. Questa è una “ucronìa”[liv] e come tale è arbitraria e comunque più sterile dell’utopia. Tuttavia, mettendo a confronto la situazione attuale con i pensieri del Maritain del 1936 e del 1951, allorché il filosofo francese tuonava contro i totalitarismi prima e contro lo Stato-Leviathan poi, qualcosa si può azzardare.
Il sogno solidale/liberale del Trattato di Roma si è trasformato, nell’Unione europea di Maastricht, Amsterdam e Lisbona in qualcosa di assai diverso, così da scontentare un po’ tutti, a destra e a sinistra (ed infatti il progetto di Costituzione europea, del 2003, è miserevolmente naufragato nel 2007 e la Gran Bretagna si è distaccata dall’Unione). E ciò, nonostante i proclami[lv] e le periodiche difese da parte degli (interessati) apici.
In sintesi il trattato di Maastricht muoveva nella direzione di una maggiore integrazione politica, ma il massimo impegno dei fautori fu dedicato all’unificazione monetaria cui era subordinato il rispetto da parte degli Stati di vari parametri di convergenza (rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%.; rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%; tasso d’inflazione non superiore dell’1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi; tasso d’interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio degli stessi tre Paesi). Fu previsto l’ampliamento delle competenze comunitarie, in materia economica e sociale, nell’àmbito di ricerca, sviluppo e ambiente, nella protezione dei consumatori e nello sviluppo di trasporti, comunicazioni, energia, nonché il cd. principio di sussidiarietà. Si prospettò una maggiore integrazione anche nell’àmbito giudiziario, con la creazione dell’Ufficio europeo di polizia e la previsione del rafforzamento della lotta contro terrorismo, traffico di droga, grande criminalità. Fin qui, apparentemente, nessuno strappo rispetto ai principi del Trattato di Roma[lvi]. Eppure, la “gabbia economico finanziaria” imposta (per di più come immodificabile) dai menzionati parametri – in quanto condiciones sine quabus non per l’ingresso e la permanenza nell’unione monetaria – ha inibito le tradizionali politiche economiche, monetarie e sociali (inflazionistiche) degli Stati gravati da un peggiore deficit-indebitamento pubblico di partenza e ciò ha creato un motivo iniziale di disparità. Inoltre, l’impostazione di fondo liberoscambista recepita nell’art. 3 par. 3 Trattato Ue e nelle disposizioni orientate alla perfetta salvaguardia della libera e piena concorrenza, anche tra Stati[lvii], necessariamente doveva mettere in seconda linea le originarie finalità di promozione della giustizia sociale (id est, ridistribuzione della ricchezza) e di cooperazione/solidarietà fiscale. Di qui: riduzione della spesa pubblica, privatizzazioni, liberalizzazione, precarizzazione del lavoro, deindustrializzazione[lviii]. Per la nuova Europa, la primazia della difesa della moneta unica ha giustificato lo smantellamento dello Stato sociale, anche a prezzo di licenziamenti, contenimento delle pensioni e riduzione dei servizi pubblici. Più di tante parole contano i melliflui ma inflessibili Diktaten contenuti in una lettera indirizzata dalla Banca centrale europea al Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana il 5 agosto 2011: «Caro Primo Ministro, (…). Nell’attuale situazione, riteniamo essenziali le seguenti misure: 1…a) è necessaria una complessiva radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala (…); b) c’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi a livello di impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende (…); c) dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti (…). – 2. (…) a) è possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico (…). – 3. Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese (…).»[lix]. Di qui l’attuale flessibilizzazione dei contratti (id est, para schiavitù di neoassunti che non saranno mai stabilizzati), privatizzazione dei servizi (id est,affidamento dei servizi pubblici essenziali a multinazionali), deperimento delle infrastrutture e dei trasporti pubblici locali, ecc.
E così il sogno si è trasformato in un incubo per centinaia di migliaia di dipendenti pubblici e privati, pensionati, piccoli imprenditori, utenti dei servizi pubblici soprattutto in Grecia, Portogallo e Italia. Tutto ciò è avvenuto perché è stata abbandonata «la strada indicata e percorsa dai primi Padri dell’unità europea (Adenauer, De Gasperi, Schuman), fondata sulla concretezza, che identificava l’Europa riconoscendone le diverse caratteristiche a partire della storia e della realtà vissuta dai popoli europei, per avviarsi su un percorso che identifica l’Europa in un modello dettato dall’ideologia»[lx]. E perché dagli anni ’90 del XX Secolo, per ragioni culturali e geopolitiche[lxi], il capitalismo ha ripreso inaspettato crescente vigore, diffondendo – senza resistenza – il suo verbo liberista nella scienza e prassi economica, nella politica, nel diritto, nella società, nella ricerca scientifica, nella vita comune (ed infatti a quel metodo di azione e a quella “regola condivisa di giudizio”, tutti, professionisti, utenti, opinione pubblica da più di trent’anni fanno riferimento per le proprie prassi come se fosse normale e inevitabile). Ovviamente le istituzioni europee non sono rimaste indenni (si ripete, i Trattati di Maastricht e Lisbona fanno del verbo liberista una bandiera) ed anzi l’euro-burocrazia sembra una delle massime vestali della nuova ideologia, apertamente ostile al modello keynesiano e al cd. Stato sociale[lxii]. In breve, in questo sistema il totem è la libertà imprenditoriale o l’interesse economico, a cui tutto è subordinato, come aveva intuito Foucault nei suoi corsi sulla biopolitica[lxiii] e come meglio è stato chiarito, tra i tanti, da Z. Bauman[lxiv] e A. Garapon[lxv]. Le ancelle di questo nuovo idolo sono la concorrenza e la managerialità. Liquidati i concetti di Nazione, di Stato, di Classe, nell’artificiale democrazia bruxelloise il Mercato si è imposto quale unicofaro; al suo servizio si pone una sorta di Impero-Leviathan economico, dopo che lo Stato-Leviathan è stato smantellato ed anche la politica sociale comunitaria è svaporata. Nello Spazio unico europeo la Persona è ampiamente e formalmente omaggiata e i diritti umani (moltiplicatisi a legione) ne testimoniano la primaria rilevanza, ma la religione del Mercato l’ha ridotta a una sola dimensione, quella dei diritti senza doveri: è la dimensione dell’individuo, del consumatore, del cliente, dell’utente. Ed infatti la famosa solidarietà europea, alla prova dei fatti (crisi finanziaria del 2009-2011, migrazioni, pandemia, ecc.), ha dimostrato la sua fragile consistenza. Vedremo il prossimo inverno se gli Stati europei affronteranno uniti (al freddo) il nuovo Bonaparte russo oppure se preferiranno barattare la tanto magnificata democrazia con un po’ di gas (da pagare in rubli).
Nel 1936 così si esprimeva Maritain, sul conto del capitalismo d’ante guerra, segnato dalla crisi del 1929, ma sempre protervo, quando fascismo, nazismo e comunismo forgiavano aerei e cannoni per metterlo a tacere: «Lo spirito obiettivo del capitalismo è spirito d’esaltazione delle potenze attive e inventive, del dinamismo dell’uomo e delle iniziative dell’individuo, ma è spirito di odio della povertà e di disprezzo del povero; il povero esiste solo come strumento di una produzione che consegna, non come persona (…). Nella civiltà attuale, tutto è commisurato a una misura che non è umana, ma esteriore all’uomo: anzitutto le leggi proprie alla produzione materiale, al dominio tecnico sulla natura, e all’utilizzazione di tutte le forze del mondo per la fecondità del denaro…»[lxvi].
Cosa scriverebbe di differente oggi, quell’obliato utopista francese, se potesse commentare l’attuale tecno-Europa?
[i] E. J. Hobsbawm, Il secolo breve 1914-1991. L’epoca più violenta della storia dell’umanità, Rizzoli, Milano 1995, passim.
[ii] Sulle radici “dreyfusarde” e repubblicane di Maritain, v. P. Chenaux, Umanesimo integrale di Jacques Maritain, Jaka Book, Milano 2005, p. 15 s.
[iii] Già nel 1936, l’anno di pubblicazione, il settimanale inglese The Tablet definiva Humanisme intégral «uno dei più importanti libri cattolici di questi ultimi anni» (in P. Chenaux, op.cit., p. 69).
[iv] Sui “quattro Maritain”, v. A. Pavan, Jacques Maritain, un pensiero che ha attraversato il ventesimo secolo, in AA. VV., (a cura di), Fondamenti e maestri del pensiero sociale ed economico di ispirazione cristiana in Italia e in Europa: Treviso, marzo- novembre 2006, Fondazione Ispirazione, Treviso 2006, p. 113 ss.
[v] P. Chenaux, Umanesimo, cit., p.83.
[vi] Sulle polemiche crescenti nei confronti del pensiero mariteniano, sfociate nel celebre articolo di F. Cardini, sul quotidiano La Stampa, del 7 settembre 1992, cfr. G. Campanini, Il filosofo e il monsignore. Maritain e Montini, due intellettuali a confronto, EDB, Bologna 2015, p. 47 ss.; P. Chenaux, Umanesimo, cit., 65 ss.
[vii] J. Maritain, Umanesimo integrale, Borla, Roma 1980, p. 221, titolo: «Persona umana e comunità economica».
[viii] Sul punto, cfr. F. Malgeri, Alcide De Gasperi, “il sogno europeo”, in C. Semeraro, (a cura di), I Padri dell’Europa. Alle radici dell’Unione europea, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2010, p. 49.
[ix] Cfr. V. Martin de La Torre, L’Europa raccontata dai padri fondatori. Un viaggio nel tempo per conoscere i pionieri dell’Unione europea, Rubbettino, Soveria Mannelli 2019, p. 53.
[x] R. Schuman, Per l’Europa, A.V.E., Roma 2017, p. 26 (ediz. orig. 1963): «J. Maritain, il nostro grande filosofo cristiano che noi francesi abbiamo avuto il torto di abbandonare ad una lontana università, invece di mettere noi stessi a profitto il suo luminoso insegnamento, ha rilevato questo parallelismo nello sviluppo dell’idea cristiana e della democrazia.». Plurime citazioni da opere di Maritain si rinvengono anche a p. 30 del medesimo testo Per l’Europa.
[xi] R. Schuman, op. cit., p. 19.
[xii] Cfr. R. Schuman, op. cit., p. 24 («comunanza di idee e di aspirazioni», «comunanza di interessi»), 34 («medesimo ideale umano»), 45 («compito comune»), 54 («politica comune»), 61 («ciò che è comune sotto la visione dell’interesse e della responsabilità condivise»), 74 («l’Europa ha bisogno di vivere meglio mettendo in comune la pienezza delle sue risorse»).
[xiii] Espressione di P. Prodi, in Prefazione a R. Schuman, op. cit.,p. 5. Si tratta di una espressione profetica, poiché Papa Francesco nel giugno 2021 ha autorizzato a promulgare il Decreto che riconosce “le virtù eroiche del Servo di Dio Robert Schuman”, (in press.vatican.va, 19 giugno 2021)
[xiv] R. Schuman, op. cit., p. 22.
[xv] R. Schuman, op. cit., p. 19.
[xvi] Tra l’altro, le osservazioni di Schuman sull’idea federale della Comunità europea, da non risolversi in un “Superstato” (v. «non si tratta di fondere degli Stati, di creare un super-stato», in R. Schuman, op. cit., p. 13), ricalcano quasi testualmente la concezione federalista di Maritain, espressa in un lungo articolo pubblicato sulla rivista cattolica The Commonweal il 19 e il 26 aprile 1940 (cfr. la versione francese in J. Maritain, R. Maritain, L’Europe et l’idée fédérale, Mame, Paris 1993, p 15 ss.: «Une solution de type fédérale implique l’abandon par les États de certains des prérogatives les moins douteuses de leur souveraineté, au bénéfice, non pas sans doute d’un super-État, mais d’organes surordonnés concernant les secteurs communs de leur activité, et le bien commun de la fédération.»).
[xvii] L’articolo di Maritain, poi riprodotto sostanzialmente in un capitolo di Umanesimo integrale (Problèmes temporels et spirituels d’une nouvelle Chrétienté), fu commentato da De Gasperi, con lo pseudonimo di Spectator, in L’illustrazione vaticana del 16-18 febbraio 1935, ora in A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, il Mulino, Bologna 2009, vol. II, p. 764 s.
[xviii] In P. Chenaux, Umanesimo, cit., p. 85. Altri riferimenti a Maritain e al personalismo si rinvengono nel commento al manifesto Per il bene comune, del 1934, in La Quindicina del 1° giugno 1934; nell’Appello ai giovani pubblicato nel numero unico edito dall’Associazione universitaria cattolica trentina, del 1934; nonché in un articolo pubblicato ne La Quindicina del 16 agosto 1935 e in un commento dell’intervento di Maritain al Congresso internazionale dei sindacati cristiani, pubblicato ne La Quindicina del 15 settembre 1937. Sul punto, v. P. Viotto, De Gasperi e Maritain: una proposta politica, Armando, Roma 2013, p. 19 ss.
[xix] G. Campanini, Il filosofo, cit. nella nota 6, p. 63.
[xx] A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, vol. IV/2, il Mulino, Bologna 2006, p. 1148 ss. «… Durante la guerra, in questo conflitto di idee, che ha messo il mondo di fronte al nazismo ci siamo trovati tutti d’accordo, credenti e non credenti, per salvare il concetto secondo il quale – come dice Maritain – l’uomo è più un tutto che una parte (…). Il senso della dignità della persona umana conduce alla uguaglianza di fronte alla legge e di fronte alla organizzazione politica, vale a dire alla democrazia.». Il testo segue di poco alla Relazione di Maritain al convegno del Movimento degli intellettuali cattolici Pax Romana, sulla civiltà umana e il còmpito dei cristiani, il 11 aprile 1947, pubblicata su Studium (1947, p. 187 ss.); P. Viotto (in De Gasperi e Maritain, cit. nella nota 18, p. 57) ha evidenziato la sintonia tra questo scritto e il contenuto della citata conferenza di De Gasperi del 1948.
[xxi] A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, vol. IV/3, Il Mulino, Bologna 2006, p. 2730: «L’Europa delle moderne civiltà si inizia nel momento in cui si diffonde e prevale il principio che l’uomo è persona, che egli diventa persona per mezzo del lavoro, ma soprattutto in quanto il suo fine sovrasta quello dello Stato. È così che l’Europa diventa e si sente una comunità degli spiriti che oltrepassa le frontiere politiche e quelle del sangue.».
[xxii] Sul punto, v. P. Viotto, De Gasperi e Maritain, cit., p. 61 e 77.
[xxiii] P. Chenaux, Umanesimo, cit., p. 87. Invece, parla del personalismo di Adenauer G. Campanini, La cultura personalista dei protagonisti dell’integrazione europea: de Gasperi, Adenauer, Schuman, in R. Papini, (a cura di), L’apporto del personalismo alla costruzione dell’Europa, Massimo, Milano 1981, p. 119-129.
[xxiv] Non vi è prova di incontri de visu tra De Gasperi e Maritain, benché questi abbia svolto l’ufficio di ambasciatore della Repubblica francese presso la Santa Sede, a Roma, dal 10 maggio 1945 al 6 giugno 1948. Risulta l’invito di don Sturzo a De Gasperi di conoscere personalmente Maritain, in una lettera del giorno 11 febbraio 1945: «Mio caro Alcide, non occorre presentarti J. Maritain che viene a Roma, come Ambasciatore della Francia presso la Santa Sede. Questo è solo per dargli l’occasione di pigliare con te un appuntamento e fare la vostra reciproca personale conoscenza. È una fortuna per Roma avere Maritain per un certo tempo, io spero lungo; così avrete l’occasione di apprezzare oltre che le sue opere, la bontà che traspira dalla sua persona» (in L. Sturzo, A. De Gasperi, Carteggio (1920-1953), vol. IV-3 della terza serie di L. Sturzo, Opera omnia, Istituto Luigi Sturzo, Roma 1999, p. 140 s.). Vi è la prova, invece, di contatti diretti tra Maritain e La Pira sulla tematica europeista (cfr., sul punto, P. Viotto, De Gasperi e Maritain, cit., p. 51).
[xxv] V. supra, nel testo,e nota 11.
[xxvi] Cit. in H. Brugmans, Le message européen de Robert Schuman, Université de Lausanne, Lausanne 1965, p. 18.
[xxvii] In V. Martin de La Torre, L’Europa, cit. nella nota 9, p. 89.
[xxviii] In V. Martin de La Torre, L’Europa, cit., p. 103.
[xxix] Riportato in AA. VV., La Déclaration du 9 mai 1950, Jean Monnet-Robert Schuman, Fondazione Jean Monnet pour L’Europe, Lausanne, 1985, p. 87.
[xxx] In V. Martin de La Torre, L’Europa, cit., p. 91.
[xxxi] In V. Martin de La Torre, L’Europa, cit., p. 153
[xxxii] J. Maritain, Umanesimo integrale, cit. nella nota 7, p. 291 ss.
[xxxiii] J. Maritain, op. ult. cit., p. 172 s.: «Il giusto concetto del regime temporale ha un secondo carattere: è personalistico. Voglio dire con ciò che per il bene comune temporale è essenziale rispettare e servire i fini sovra-temporali della persona umana. In altri termini, il bene comune temporale è un fine intermedio o infravalente, ha specificazione propria, mediante la quale si distingue dal fine ultimo e dagli interessi eterni della persona umana (…), ha condizione propria e bontà propria, ma precisamente a condizione di riconoscere questa subordinazione e di non erigersi come bene assoluto (…). La società politica non ha per ufficio di condurre la persona umana alla sua perfezione spirituale e alla sua piena libertà d’autonomia (…), tuttavia (…) è destinata essenzialmente, in ragione dello stesso fine terreno che la specifica, allo sviluppo di condizioni di ambiente che portano in tal modo la moltitudine a un grado di vita materiale, intellettuale e morale conveniente al bene alla pace del tutto, che ogni persona vi si trovi aiutata positivamente nella conquista della propria completa vita di persona e della propria libertà spirituale.».
[xxxiv] J. Maritain, op. ult. cit., p. 308 s.: «Il piano dello spirituale (…), il piano del temporale (…), questi due piani di attività sono nettamente distinti come le cose che sono di Cesare e le cose che sono di Dio. (…) Sono distinti ma non sono separati (…). Il temporale vuole essere vivificato dallo spirituale: il bene comune della civiltà domanda da sé di riferirsi al bene comune della vita eterna, che è Dio stesso.».
[xxxv] J. Maritain, Christianisme et Dèmocratie, Maison Française, New York 1943, passim; Id., Umanesimo integrale, cit., p. 227.
[xxxvi] J. Maritain, F. Mauriac, Per la giustizia e la pace, in Esprit, novembre 1935; J. Maritain, De la guerre sainte, in La Nouvelle revue française, 1° luglio 1937.
[xxxvii] J. Maritain, Umanesimo integrale, cit., p. 265: «Pensiamo che il cristiano non debba rifiutare di usare così la forza giusta, quando ciò sia necessario in modo assoluto. (…) Se sono cristiani e se hanno come scopo una trasformazione realmente umanistica del mondo e l’istaurazione di una nuova cristianità, gli uomini dai quali dipende l’iniziativa di un ricorso alla forza non sono tenuti soltanto a imporre con una volontà incrollabile il freno della giustizia a mezzi che vengono dal mondo delle belve e a respingere in modo assoluto l’uso della forza come mezzo di persuasione. È anche necessario per loro fare violenza alla forza stessa per compensare la violenza che questa fa subire allo spirito, cioè subordinare la forza all’amore in modo tale che divenga realmente in loro lo strumento dell’amore in atto e che, nell’azione da loro diretta, il giusto impiego dei mezzi carnali non avvenga realmente che come ultima risorsa e in caso di vera necessità.».
[xxxviii] J. Maritain,op. ult. cit., pp. 198, 205: «In opposizione alle varie concezioni totalitarie dello Stato attualmente in voga, si tratta qui del concetto di una città pluralistica, che riunisce nella sua unità organica una diversità di gruppi e di strutture sociali incarnanti libertà positive (…). La società civile non è composta solo di individui, ma di società particolari formate da questi; e una città pluralistica riconosce a tali società particolari una autonomia il più possibile e diversifica la propria struttura interna secondo le convenienze tipiche alla loro natura (…). Questa unità temporale o culturale non richiede da sé l’unità di fede e di religione (…). La distinzione della tolleranza dogmatica, che ritiene la libertà dell’errore come bene in sé e della tolleranza civile, che impone allo Stato il rispetto delle coscienze, rimarrebbe inscritta nella struttura della città.».
[xxxix] J. Maritain, op. ult. cit., p. 191 ss.
[xl] P. Chenaux, Umanesimo, cit., p. 60.
[xli] V. nota 16. Sull’idea mariteniana di una “soluzione federale” per l’Europa, cfr. P. Chenaux, De la chrétienté à l’Europe. Les catholiques et l’idée européenne au XX siècle, CLD, Tours, p. 66.
[xlii] J. Maritain, L’uomo e lo Stato, Marietti 1820, Genova-Milano 2003, p. 186 ss.
[xliii] Si tratta della promozione del graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, di uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità, di un’espansione continua ed equilibrata, di una stabilità accresciuta, di un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano; l’assicurazione di un tenore di vita equo alla popolazione agricola; la promozione del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera che consenta la loro parificazione nel progresso.
[xliv] Si tratta della instaurazione di un mercato comune; dell’abolizione fra gli Stati membri dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative all’entrata e all’uscita delle merci, come pure di tutte le altre misure di effetto equivalente; dell’istituzione di una tariffa doganale comune e di una politica commerciale comune nei confronti degli Stati terzi; dell’eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali; dell’instaurazione di una politica comune nei settori dell’agricoltura e dei trasporti; dell’instaurazione di un regime di concorrenza leale; della creazione di un Fondo sociale europeo, e di una Banca europea per gli investimenti; del divieto di ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità.
[xlv] J. Maritain, Umanesimo integrale, cit., p. 215: «Dare a ogni persona umana la possibilità reale e concreta di accedere (…) ai vantaggi della proprietà privata dei beni terreni, il male essendo nel fatto che questi vantaggi siano riservati a un piccolo numero di privilegiati.».
[xlvi] J. Maritain, op. ult. cit., p. 227: «Nell’ordine economico, la società di lavoro, per la nuova cristianità di cui parliamo, non si risolverebbe nella società domestica come nel medioevo né nell’affrontarsi di due classi estranee l’una all’altra, come nell’epoca del liberalismo borghese ma costituirebbe (…) una forma istituzionale specifica, rispondente alla associazione naturale tra collaboratori di una stessa opera.».
[xlvii] J. Maritain, L’uomo e lo Stato, cit., p. 99.
[xlviii] J. Maritain, op. ult. cit., p. 103.
[xlix] J. Maritain, op. ult. cit., lc. cit.
[l] J. Maritain, op. ult. cit., lc. cit.
[li] J. Maritain, op. ult. cit., p. 204.
[lii] A questo proposito, si richiamano le parole di N. Sarkozy durante Congresso UMP del 29 gennaio 2008: «Dire che in Europa ci sono delle radici cristiane è semplicemente dare prova di buon senso. Rinunciare a farlo, significa girare le spalle a una realtà storica.» (B. Ardura, Robert Schuman, il padre dell’Europa, in C. Semeraro, [a cura di], I Padri, cit. nella nota 8, p. 35). Si richiamano anche le parole di Schuman sulle sommerse radici cristiane dell’Europa: «I valori cristiani sono sopravvissuti ed hanno operato nel subconscio di uomini che avevano cessato di praticare una religione dogmatica, ma continuavano a ispirarsi ai suoi grandi princìpi. Questi (valori cristiani) sono diventati e rimasti i valori della civiltà contemporanea. Per esempio, furono i razionalisti del XVII secolo a proclamare e divulgare i diritti dell’uomo e del cittadino che sono essenzialmente cristiani» (R. Schuman, Per l’Europa, cit., p. 27). In particolare, sull’influenza della filosofia personalista per la costruzione della Nuova Europa, v. R. Papini, L’apport du personnalisme a la construction de l’Europe, in Notes et documents, j-a 1993, p. 74 ss.
[liii] R. Schuman, Per l’Europa, cit., p. 21.
[liv] Il termine ucronìa, dal francese uchronie, significa: «Sostituzione di avvenimenti immaginarî a quelli reali di un determinato periodo o fatto storico (per es., la situazione europea se Napoleone avesse vinto a Waterloo).» (in www.treccani.it).
[lv] Il Trattato dell’Unione europea afferma solennemente che l’Unione si prefigge tra l’altro l’obiettivo di «rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi Stati membri mediante l’istituzione di una cittadinanza dell’Unione» (Art. B) e che «L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario» (art. F). Nella versione consolidata il Trattato afferma all’art. 2: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.».
[lvi] Sul punto ex plurimis, E. R. Papa, Storia dell’unificazione europea, Bompiani, Milano 2018, p. 301 ss.
[lvii] Gli artt.123, 124 e 125 Tfue stabiliscono il divieto di ogni finanziamento monetario a favore degli Stati.
[lviii] L. Barra Caracciolo, Conseguenze del Trattato di Maastricht, in www.dinastyoffreedom.it.
[lix] Riportata in L. Canfora, È l’Europa che ce lo chiede. Falso!, Laterza, Roma-Bari 2012, p. 59 ss.
[lx] F. E. Crema, I problemi dell’Europa del Trattato di Maastricht che stanno esplodendo oggi, in www.interris.it. 2022, 11 febbraio.
[lxi] Sul punto, con riferimento ai rischi imperialistici connessi alla riunificazione tedesca, M. Sauga, S. Simons, K. Wiegrefe, Der Preis der deutschen Einheit, in Der Spiegel, 27 settembre 2010, p. 34 ss.
[lxii] C. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 432 ss.: «(Maastricht avrebbe comportato) la ridefinizione delle modalità di composizione della spesa, una redistribuzione delle responsabilità che restringa il potere delle assemblee parlamentari e aumenti quelle dei governi (…), ripensare in profondità le leggi con le quali si è realizzato in Italia il cosiddetto Stato sociale.».
[lxiii] M. Foucault, Nascita della biopolitica . Corso al Collège de France (1978-1979), Feltrinelli, Milano 2005, passim.
[lxiv] Ex plurimis, Z. Bauman, La libertà, Castelvecchi, Roma 2017, passim.
[lxv] Secondo l’approccio del sociologo-filosofo francese Antoine Garapon, autore di un libro illuminante (Lo Stato minimo. Il neoliberalismo e la giustizia, Raffaello Cortina, Milano 2012) questi sono i dieci “comandamenti” del pensiero neoliberale: -I) «I diritti fondano la loro indipendenza rispetto al potere in riferimento all’economia, con l’introduzione di un’altra razionalità: l’utilità (…). Il valore cardinale non sarà più la volontà ma l’utilità» (A. Garapon, op. cit., p. 14, 25); II) «Il neoliberalismo respinge qualsiasi orizzonte esterno, qualsiasi razionalità sovraordinata, qualsiasi visione d’insieme (…); i mezzi sono separati dal fine, l’efficacia è svincolata dal finalismo, la modernità desolidarizzata rispetto alla democrazia, il diritto è considerato a prescindere dalla giustizia, l’individuo è svincolato da un territorio e, infine, la circolazione delle merci è regolamentata indipendentemente dallo status delle persone. Il neoliberalismo sta tutto in questa separazione» (Id., op. cit., p. 15); -III) «Lo Stato si limita esclusivamente al ruolo di fornitore di regole per un gioco economico i cui partecipanti sono gli imprenditori (…). La sicurezza assume (…) un nuovo significato: non è più una tutela contro l’arbitrio del sovrano, diventando piuttosto la condizione di realizzabilità del gioco: il diritto deve fornire un minimo di certezza per l’impresa; le sue regole permettono un gioco che senza di esse sarebbe assurdo. La sicurezza è la condizione della libertà di impresa» (Id., op. cit., p. 17-20); IV) «Allo stesso modo in cui la razionalità neoliberale non persegue alcun finalismo, essa non si pone alcun obiettivo temporale lontano. Il mondo (…) deve essere aperto per definizione, e qualsiasi progetto troppo lontano rischia di privarsi delle sue ricchezze» (Id., op. cit., p. 26); V) «Ciò che caratterizza un diritto ambientale è il fatto di essere essenzialmente reattivo, non proattivo. Si modifica la legge in modo infinitesimale, attraverso spostamenti minimi, facendo di volta in volta tesoro dell’insegnamento tratto dai suoi insuccessi passati (…). Agire, nella prospettiva neoliberale, è reagire, mostrarsi responsive, cioè reattivo» (Id., op. cit., p. 21); -VI) «Nel modello neoliberale la concorrenza assume il ruolo proprio di motore del potere e in essa, e attraverso di essa, si costruiranno le istituzioni» (Id., op. cit., p. 23); -VII) «Se il modello statuale ricerca l’uniformità, (…) nel modello neoliberale lo Stato deve fornire una molteplicità di alternative, affinché il soggetto possa scegliere: il diritto produrrà in tale maniera delle diseguaglianze, in quanto la concorrenza sarebbe priva di significato in un modo ideale dove tutti fossero uguali e volessero restare tali (…). Di universale non vi è altro che l’accesso (…). Conta solo l’uguaglianza delle opportunità» (Id., op. cit., p. 23s.); -VIII) «Lo spazio di riferimento del neoliberalismo non è più il territorio dello Stato, limitato e totalizzabile in un progetto politico, ma il livello globale, che deve essere distinto dal mondo perché si tratta di uno spazio virtuale, di un mondo di flussi, di transazioni» (Id., op. cit., p. 27); -IX) La razionalità neoliberale è «un modello totale, in quanto coinvolge sia l’economia, sia la politica, sia il diritto sia l’antropologia (…). Il diritto neoliberale accompagna il passaggio da una totalizzazione all’altra; da una totalizzazione a mezzo di un territorio e dell’organizzazione della sovranità, al regno del diritto, che diventa così un ingranaggio centrale e cessa di essere il ripetitore di un sovrano che parla dall’alto» (Id., op. cit., p. 28); -X) Un individuo, una società commerciale e lo Stato «perseguono obiettivi propri, pur nella consapevolezza di aver bisogno di un certo numero di regole per agire in un quadro di piena certezza. Solo queste norme di diritto privato sono essenziali, a esclusione di qualsiasi altra norma e in particolare di quelle che, come il diritto pubblico, fanno riferimento a finalità politiche…il neoliberalismo è un sistema astratto, formale, particolarmente ambizioso dal momento che pretende di potersi sbarazzare sia della politica sia della giustizia» (Id., op. cit., pp. 18, 29).
[lxvi] J. Maritain, Umanesimo integrale, cit., p. 155; p. 219 s.