«Assolver non si può chi non si pente
né pentere e volere insieme puossi
per la contradizion che nol consente»
(Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, XXVII, vv. 118-120)
Un’opera, soprattutto della grandezza della Commedia, non vive esclusivamente il contesto storico nel quale è stata pensata ma travalica gli orizzonti temporali a venire.
Ecco che «l’inesauribile grandezza di Dante non sta in quel che può dire qualcun altro, per ben detto che gli venga, ma in quello che continua a dire lui a chi ha orecchio per ascoltarlo»[1].
La Commedia è un testo valido per un’indagine antropologica. E in esso è possibile ritrovare tratti umani costanti nel tempo tra i quali il pentimento nella sua valenza etica e giuridica.
Tra le anime peccatrici del poema troviamo una prima grande distinzione tra coloro che hanno commesso crimini tanto gravi da non essere emendabili, che sono relegati nell’Inferno, e anime ree di crimini meno gravi collocate nel Purgatorio in attesa di andare in Paradiso.
Quest’ultima categoria include coloro che, pur avendo commesso crimini gravissimi, sono destinati alla salvezza per essersi pentiti.
Tra questi i sodomiti: gli irriducibili sono nel XV Canto dell’Inferno mentre i pentiti sono nel XXVI Canto del Purgatorio dove Guido Guinizzelli, nel farsi riconoscere dal poeta, confessa «… e già mi purgo per ben dolermi prima ch’a lo stremo» (Purgatorio, XXVI, vv. 92-93).
L’importanza del pentimento è ancora più evidente in Paolo e Francesca la cui collocazione nell’Inferno sarebbe stridente con lo stesso impianto morale della Commedia che colloca, invece, i lussuriosi, rei di più gravi peccati (sodomia, bestialità), nel Purgatorio. Lo stesso Dante, il quale conosce bene la passione amorosa, sembra avvertirne la drammaticità tanto da perdere i sensi «… così com’io morisse» (Inferno, V, 141). Ma la struggente pietade del poeta non consente redenzione ad un adultero «Amor… che ancor (…) non m’abbandona» (Inferno, V, vv. 103-105), che non si è ravveduto.
Evidentemente la comprensione e la pietà umana da sole non bastano neanche per Dante: il pentimento pretende una manifestazione di volontà del peccatore, come gli istituti della moderna giustizia riparativa penale esigono la coscienza e il riconoscimento della responsabilità del fatto.
Ci si può pentire anche all’ultimo momento utile, ma deve essere il colpevole a riconoscere i propri errori e farne ammenda.
Le anime sinceramente pentitesi, quelle redente in punto di morte, attendono nell’Antipurgatorio centinaia di anni prima di poter intraprendere il percorso di ravvedimento che inizia dalla prima cornice del Purgatorio.
Tra queste Manfredi, che si arrende solo «Poscia ch’io ebbi rotta la persona / di due punte mortali,…» (Purgatorio, III, vv. 118-119); Sapìa da Siena, la quale confessa che «Pace volli con Dio in su lo stremo / de la mia vita; …» (Purgatorio, XIII, vv. 124-125) e Buonconte da Montefeltro dei “morti per forza”, il quale si pente in punto di morte solo pronunciando il nome della Vergine («per una lagrimetta che ’l mi toglie», Purgatorio, V, v. 107).
Un’altra anima convertita è quella di Papa Adriano V, il quale sconta la pena nella V cornice del Purgatorio, insieme agli avari e ai prodighi.
Anche il successore di Pietro, Papa Adriano V, è relegato tra gli avari altitudinis del Purgatorio, e non nel IV Cerchio dell’Inferno, grazie ad una pur tarda conversione: «La mia conversione, ohimé!, fu tarda / ma come fatto fui roman pastore, / cosi scopersi la vita bugiarda» (Purgatorio, XIX, vv. 106-108).
Come per il ravvedimento in materia penale sono richiesti all’autore del reato condotte riparatorie che vanno dalla mediazione alla riparazione dell’offesa e alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, così i penitenti del Purgatorio umilmente si sottomettono alla espiazione della pena richiesta nella espressione del profilo più laico della redenzione.
Manfredi si manifesta nella schiera di anime che «Come le pecorelle escon dal chiuso / a una, a due, a tre e l’altre stanno / timidette atterrando l’occhio e ’l muso» (Purgatorio, III, vv. 79-81) con una mansuetudine ed una sottomissione evidentemente contraria all’indole ribelle degli scomunicati dalla Chiesa.
Sapìa da Siena non manca di riferire al poeta «… rimondo qui la vita ria» (Purgatorio, XIII, 109) e cioè “mi purifico delle colpe della mia vita”.
Ancor più consapevolezza e volontà di redenzione nella figura di Papa Adriano V il quale esorta il poeta a proseguire oltre, «… ché la tua stanza mio pianger disagia, / col qual maturo ciò che tu dicesti» (Purgatorio., XIX, vv. 140-141),perché la sua presenza «non mi dà agio di piangere, col qual piangere maturo la purificazione…»[2].
Vero è che nelle intenzioni del poeta, la Commedia voleva essere un grande poema religioso e che, in tale contesto, le anime del Purgatorio si sono pentite in vita per aver contravvenuto, prevalentemente, ai precetti della morale cristiana dell’epoca.
In tale contesto, pur essendo limitato ad una dimensione intima (nella liturgia della confessione e della assoluzione), il pentimento cristiano delle anime del Purgatorio è ancorato alla unicità dei penitenti e trascende il mero profilo teologico, offrendo lo spunto anche a più concrete e attuali riflessioni giuridiche.
Così, in epoca recente, la laicizzazione (involontaria) di princìpi dell’esperienza cristiana ha influenzato la nascita dello Stato sociale vòlto a ridurre le disuguaglianze sociali.
Si pensi ai concetti di carità, pietà, umanità e fratellanza[3] che anticipano l’attuale sistema di Welfare che trova la propria manifestazione negli interventi di assistenza sociale forniti dallo Stato ai consociati.
I princìpi fondanti della tradizione cristiana condizionano l’odierno catalogo dei princìpi costituzionalmente tutelati che orientano il legislatore nell’attuazione delle prerogative dello Stato Sociale.
Così, le moderne democrazie pluralistiche, in attuazione dei princìpi di solidarietà e di eguaglianza sostanziale[4], riconoscono i diritti inviolabili dell’uomo ma anche si impegnano a rimuovere quegli ostacoli di ordine economico e sociale che «impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»[5].
Dante, quindi, dà certamente una lettura morale cristiana del pentimento eppure ne delinea tratti così precisi, utili ad essere qui ripresi per una riflessione di diritto penale.
Se vogliamo azzardare un parallelismo, possiamo affermare che il tema del ravvedimento, in una accezione laica, consente di affrontare la questione relativa alla c.d. giustizia riparativa.
La restorative justice (RJ), nell’originale inglese, vede la propria origine negli Stati Uniti degli anni ’70 del secolo scorso come un modello di giustizia che ha l’obiettivo di sanare l’offesa attraverso azioni che l’autore del reato pone in essere in favore della vittima[6].
Negli anni ’80, si diffondono in Europa pratiche di mediazione tra autore del reato e vittima ma il riconoscimento giuridico di fattispecie riparatorie interviene solo alla fine degli anni ’80 e gli inizi del ’90 e , peraltro, limitatamente al diritto minorile.
L’istituzionalizzazione delle ipotesi di giustizia riparativa viene confermato dalla Raccomandazione n. R(99) 19 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che stabilisce le linee guida in materia di mediazione penale e recepite, in seguito, da numerose normative sovranazionali[7].
L’ordinamento penale italiano trova nel processo minorile la sede naturale del modello di giustizia riparativa.
L’ordinamento minorile, in quanto ispirato al principio della minima offensività del processo, si serve degli istituti riparativi o di mediazione che favoriscono la fuoriuscita anticipata del minore dal circuito penale (istituti c.d. di diversion)[8].
Così, ad esempio, l’art. 28 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, disciplinando l’istituto della sospensione del processo e della messa in prova del minore, dispone che il giudice può, con l’ordinanza di sospensione, «impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato».
Al di fuori dell’ordinamento minorile, il codice penale del 1930 già conosce fattispecie ispirate alla ratio della resipiscenza del colpevole, come l’art. 62 primo comma n. 6, che prevede due distinte ipotesi di circostanze attenuanti. La norma determina una diminuzione di pena nell’ipotesi di riparazione del danno, mediante risarcimento e, ove possibile, restitutio in integrum ex art. 185 c.p., ovvero attraverso l’adoperarsi spontaneamente per eliminare o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Lo stesso può dirsi con riferimento alla legge speciale che disciplina il giudizio di fronte al giudice di pace e che, tradizionalmente, prevede istituti caratterizzati da una logica riparativa. Così, l’art. 35 d.lgs. 28 agosto 2000, 274, rubricato Estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, ad esempio, prevede la possibilità in capo al giudice di pace di dichiarare estinto il reato nel caso in cui l’imputato abbia, prima dell’udienza di comparizione, provveduto alla riparazione del danno e alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.
Nel diritto penale contemporaneo, il tema della giustizia riparativa e, quindi, del ravvedimento post delictum, hanno assunto una sempre maggiore importanza; il legislatore ha, negli ultimi anni, incrementato – seppure in maniera disorganica – il numero delle ipotesi in cui sono valorizzate le condotte riparatorie del colpevole.
Sul punto sono intervenuti gli Stati Generali[9] dell’esecuzione penale i quali si sono preoccupati di allineare la disciplina italiana a quella degli altri Paesi europei ed extraeuropei.
In particolare, il tavolo di lavoro 13[10] affronta la tematica muovendo dal concetto di giustizia riparativa intesa, da un lato, come un paradigma autonomo[11] rispetto al sistema sanzionatorio tradizionale, imperniato sul concetto di polifunzionalità della pena e, dall’altro, come uno strumento complementare rispetto alla pena, in quanto in grado di concorrere al raggiungimento di obiettivi comuni[12], tra i quali la reintegrazione della vittima e del colpevole.
La giustizia riparativa è, infatti, qualificata come «qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale»[13].
Trovando il proprio fulcro nella mediazione tra colpevole e vittima, inteso come momento di incontro e di dialogo e frutto della libera scelta dei soggetti coinvolti[14], la restorative justice consente di mettere l’accento sia sulla posizione del colpevole sia su quella della vittima.
Da un lato, il ravvedimento post delictum dell’autore del reato è messo in risalto dalla possibilità concessa allo stesso di adoperarsi a favore della vittima, intraprendendo un percorso finalizzato alla rielaborazione del conflitto e dei motivi che lo hanno causato «nonché a riconoscere e a elaborare la propria responsabilità»[15].
La resipiscenza del colpevole, negli scopi della giustizia riparativa, non deve essere intesa come una mera condotta compensatoria e di indennizzo ma «come un’attivazione che assume l’irreparabilità intrinseca di ogni gesto di ingiustizia (di per sé ineliminabile) e rilancia, al contempo, la possibilità di progettare un agire responsabile per il futuro»[16].
In tale logica, il percorso riparatorio dovrebbe consentire al colpevole di «rielaborare il conflitto e i motivi che lo hanno causato, a maturare un concetto di responsabilità “verso” l’altro, ad avvertire, appunto, la necessità di riparazione»[17].
Può qui richiamarsi la Commedia. Dante infatti – pur non spingendosi fino a sviluppare il concetto di mediazione tra reo e vittima – lascia ampio spazio al tema del pentimento, privilegiandone l’aspetto volontario del rinnovamento interiore, quale consapevolezza di colpa e ricerca di espiazione.
Dall’altro lato, si vuole, attraverso il riconoscimento della vittima e la riparazione del danno da parte dell’autore del reato, “riparare” la dimensione emozionale dell’offesa che ha comportato nella vittima «la perdita del senso di fiducia negli altri e la nascita di un vissuto di insicurezza individuale tale da indurre persino a modificare le abitudini di vita»[18].
Attraverso lo strumento della giustizia riparativa, il legislatore intende superare la visione “reocentrica” sulla quale si basa il procedimento penale e approdare ad una disciplina che, attraverso l’ascolto e la mediazione con la vittima, ponga quest’ultima in un piano di parità – a livello di regolamentazione – rispetto al colpevole.
Come già sostenuto, una delle tendenze del diritto penale contemporaneo è l’espansione degli effetti premiali della pena. Il legislatore persegue tale scopo riconoscendo ruoli differenti alle condotte riparatorie post delictum, le quali sono contemplate come circostanze attenuanti, come cause di esclusione della punibilità, come cause di estinzione del reato o come prescrizioni che colorano di contenuto le misure alternative alla detenzione. Si tratta, quindi, di provvedimenti che sono disposti prima della sentenza di condanna o che presuppongono la condanna stessa[19].
Così, nel 2009, il legislatore ha ampliato[20] la disciplina del reato di danneggiamento ex art. 635 c.p. ed ha subordinato la sospensione condizionale della pena «all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna».
Nello stesso anno, viene introdotto l’art. 341 bis c.p. che prevede il reato di oltraggio a pubblico ufficiale e dispone l’estinzione del reato nel caso in cui l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima.
Ancora, la l. n. 67 del 2014[21] disciplina per gli adulti l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, che trova il proprio archetipo nell’omonimo istituto già previsto per i minori.
La messa alla prova risponde, tra l’altro, all’esigenza di ricomposizione tra autore e vittima del reato nella parte in cui, ai sensi degli artt. 168 bis secondo comma c.p. e 464 bis comma 4 lett. b c.p.p., dispone che il programma di trattamento contenga, tra l’altro, la previsione di «condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa» e lo svolgimento di attività riparatorie, intese come eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e risarcimento del danno.
Un’altra ipotesi che rispecchia la logica della giustizia riparativa è l’art. 162 ter c.p. che, rubricato Estinzione del reato per condotte riparatorie[22], si sostanzia nelle condotte che il colpevole deve tenere nei confronti della vittima al fine di ottenere l’estinzione del reato. L’agente deve riparare interamente il danno mediante restituzioni e risarcimento e deve, ove possibile, eliminare le conseguenza dannose o pericolose del reato.
Occorre, da ultimo, ricordare che taluno riscontra dei punti di criticità nella collocazione degli istituti sopra menzionati all’interno del paradigma della giustizia riparativa.
Si ritiene, in questo senso, che il legislatore non abbia sempre colto la natura della giustizia riparativa volta a superare la visione “reocentrica” dell’ordinamento penale e processuale e che non abbia, quindi, riservato un ruolo alla vittima del reato.
Soprattutto con riferimento alle fattispecie di nuova introduzione, ciò che si contesta è il ruolo, ancora marginale, che spetta alla persona offesa[23].
Ed, infatti, la sospensione del processo con messa alla prova può essere disposta dal giudice anche a fronte del dissenso della parte offesa, la quale viene solo “sentita” dal giudice. Allo stesso modo, il nuovo art. 162 ter c.p. consente al colpevole di addivenire unilateralmente alla estinzione del reato, senza che sia necessaria la rimessione della querela da parte della persona offesa ex art. 152 c.p.
Giorgia Paolinelli
Avvocato. Specializzata presso la ‘Scuola di Specializzazione per le Professioni legali’ LUMSA
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- M. Bouchard, Breve storia (e filosofia) della giustizia riparativa, in Questione giustizia 2015, 2, p. 66 ss.
- F. Caporotundo, L’estinzione del reato per condotte riparatorie: luci e ombre dell’art. 162-ter c.p., in Arch. pen. 2018, 1, p. 1 ss.
- G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale8, Zanichelli, Bologna 2019.
- F. Forlenza, Il diritto penale nella Divina Commedia. Le radici del «sorvegliare e punire» nell’Occidente, Armando Editore, 2003.
- G. Godenzi, La conversione nella Divina Commedia, in Quaderni grigionitaliani 2000, 3, p. 228 ss., reperibile in http://www.e-periodica.ch.
- G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale9, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2020.
- G. Mosconi g., XIV Rapporto Antigone sulle condizioni di detenzione, La Giustizia riparativa: definizioni, interpretazioni, applicazioni. A proposito dei lavori del Tavolo XIII degli Stati Generali dell’Esecuzione penale, in www.antigone.it.
- S. Paiusco, Giustizia riparativa: responsabilità, partecipazione, riparazione. Resoconto del Convegno internazionale svoltosi il 20 e il 21 gennaio 2017 presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento, in Dir. pen. contemp. 2017, 2 febbraio.
- V. Sermonti, La Divina Commedia, Purgatorio, Bruno Mondadori, Milano 2008.
- S. Sessa, La giustizia riparativa nell’ordinamento penale, in www.giurisprudenzapenale.com 2019, 10, 1 ss.
- L. Spadano, Le recenti ipotesi di condotte riparatorie post delictum: verso un progressivo ripensamento della giustizia criminale in chiave riparativa?, Archivio penale 2020, 1, p. 21 ss.
- Tavolo di lavoro 13 degli Stati Generali 2015-2016 denominato “Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato”.
- G. Vandelli, L. Polacco, Dante Alighieri. La Divina Commedia, testo critico della Società Dantesca Italiana, Hoepli, Milano, 1989, ristampa 2019.
[1] V. Sermonti, La Divina Commedia, Purgatorio, Bruno Mondadori, Milano 2008, VII.
[2] G. Vandelli, L. Polacco, Dante Alighieri. La Divina Commedia, testo critico della Società Dantesca Italiana, Hoepli, Milano 1989, ristampa 2019, p. 471.
[3] In questo senso, ad esempio, la Lettera Enciclica, Fratelli tutti, di Papa Francesco, sulla fraternità e l’amicizia sociale (3 ottobre 2020).
[4] Rispettivamente, art. 2 e 3 secondo comma Cost.
[5] Art. 3 secondo comma Cost.
[6] M. Bouchard, Breve storia (e filosofia) della giustizia riparativa, in Questione giustizia 2015, 2, p. 67.
[7] Consiglio d’Europa, Raccomandazione n. (99)19 adottata il 15settembre 1999, Mediazione in materia penale, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla mediazione penale, Strasburgo, 1999. Altre fonti europee, che si sono succedute nel tempo e che hanno definito e sottolineato l’importanza della giustizia riparativa sono l’art. 28 della Dichiarazione di Vienna su criminalità e giustizia adottata nel corso del X Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del crimine e il trattamento dei detenuti del 2000; la Dichiarazione di Vienna su criminalità e giustizia: nuove sfide nel XXI secolo, Assemblea Generale delle Nazioni Unite, risoluzione n. 55/59 del 04 dicembre 2000; la Decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea, 2001/220/GAI del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale; la Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee dispone, paragrafo 103 n. 7; l’art. 2 co 1, lett. D, Direttiva 2012/29/UE; Basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal matters adottati dalle Nazioni Unite il 24 luglio 2002; la Raccomandazione R (2010)1 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle Regole del Consiglio d’Europa in materia di probation, adottata dal Comitato dei Ministri il 20 gennaio 2010 nel corso della 1075a riunione dei Delegati dei Ministri.
[8] M. Bouchard, op. cit., p. 72.
[9] Stati Generali dell’esecuzione penale, 2015-2016.
[10] Tavolo di lavoro 13 degli Stati Generali denominato «Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato».
[11] Stati Generali dell’esecuzione penale, Tavolo 13, allegato 3, 2015-2016, p. 1.
[12] G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale9, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano 2020, p. 508.
[13] Art. 2 comma 1 lett. D, Direttiva 2012/29/UE, approvata il 25 ottobre 2012, in vigore dal 15 novembre 2012, attuata dall’Italia con il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 , recante «Norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato».
[14] G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, op. lc. cit.
[15] Ministero della Giustizia, archivio 2015- 2016, Stati Generali dell’esecuzione penale, Tavolo 13, in www.giustizia.it.
[16] Stati Generali dell’esecuzione penale, Tavolo 13, allegato 3, 2015-2016, p. 2.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] G. Mosconi, XIV Rapporto Antigone sulle condizioni di detenzione. La Giustizia riparativa: definizioni, interpretazioni, applicazioni. A proposito dei lavori del Tavolo XIII degli Stati Generali dell’Esecuzione penale, p. 5.
[20] L. 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica».
[21] L. 28 aprile 2014, n. 67, recante «Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili».
[22] Introdotta dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario», che trova i suoi archetipi nell’art. 35 d.lgs. n. 274/2000 e nell’art. 12 d.lgs. n. 231/2001.
[23] L. Spadano, Le recenti ipotesi di condotte riparatorie post delictum: verso un progressivo ripensamento della giustizia criminale in chiave riparativa?, in Archivio penale 2020, n. 1, p. 21.