“IL MALADETTO FIORE”, LO SPIRITO DEL CAPITALISMO E L’ART. 41 COST. di Pierluigi Cipolla

by Lilibeth

L’avidità/avarizia, è il peccato che Dante teme, vitupera e condanna più di tutti, forse conoscendolo bene[i]. All’inizio del suo viaggio ultraterreno la “lupa, che di tutte le brame /sembrava carca ne la sua magrezza/ e molte genti fe’ già viver grame,/… con la paura ch’uscia di sua vista/” gli fece perdere “la speranza de l’altezza[ii], ossia gli fece intravedere il baratro della disperazione. La nocività della cupiditas, l’“antica lupa”[iii] (questa bestia, per la qual tu gride,/non lascia altrui passar per la sua via/ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;/ e ha natura si malvagia e ria,/ che mai non empie la bramosa voglia,/ e dopo ’l pasto ha più fame che pria[iv]) per il Gran Pellegrino[v], sta tutta nei suoi molteplici frutti nefasti, sul piano etico, sociale e politico: distogliere dal vero bene[vi] (e così accrescere l’inquietudine esistenziale[vii]), sconvolgere l’ordine divino[viii] e morale[ix], avvelenare i rapporti sociali[x], offendere la dignità umana[xi], creare pericolose posizioni di potere[xii]. Di qui, in crescendo rossiniano, espressioni di sarcasmo: “Fiorenza mia…/ tu ricca, tu con pace e tu con senno![xiii], denunce: “Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio/ per lo qual non temesti torre a ’nganno/la bella donna, e poi di farne strazio?”[xiv], improperi: “quelli ch’usurpa in terra il luogo mio/… / fatt’ha del cimitero mio cloaca/ del sangue e de la puzza; onde ’l perverso/ che cadde di qua su, la giù si placa[xv], invettive: “Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento:/ e che altro è da voi a l’idolatre,/ se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?[xvi], maledizioni: “… e voi rapaci/ per oro o per argento avolterate;/ or conviene che per voi suoni la tromba/ però che ne la terza bolgia state[xvii], minacce di tormenti eterni: “Qui vid’i gente più ch’altrove troppa,/ e d’una parte e d’altra, con grand’urli,/ voltando pesi per forza di poppa./ Percoteansi ’ncontro; e poscia pur lì/ si rivolgea ciascun, voltando a retro,/ gridando ‘Perché tieni?’ e ‘Perché burli?’”/… Mal dare e mal tener lo mondo pulchro/ha tolto loro, e posti a questa zuffa[xviii]. Si tratta peraltro di un pensiero conforme all’ampia tradizione scolastica antiusuraria, che vedeva nello sfrenato individualismo della classe mercantile un orientamento contrario all’instaurazione della giustizia nel mondo e in genere ai fini universali della società umana[xix]. Ma i tempi erano maturi per la Rivoluzione capitalistica che avrebbe reso la politica una funzione del potere economico: già all’alba del XIV secolo Marsilio da Padova, nel Defensor pacis, teorizzando l’utilità sociale del commercio, sosteneva che l’organizzazione civile degli uomini era strumentale al buon andamento degli scambi[xx].

Sulla base di quanto appena intravisto nella Firenze del tempo, per il Nostro non era difficile profetizzare: “Molti sono gli animali a cui s’ammoglia/e più saranno ancora…[xxi]. E ciò che Dante temeva si è realizzato in pieno. Lo ha scritto in due versi un altro grande poeta, questa volta del Novecento: “Quando la Chiesa non è più considerata e neanche contrastata e gli uomini hanno dimenticato/tutti gli dei, salvo l’Usura, la Lussuria e il Potere…[xxii]. Qui si vuole accennare al modo in cui dal Trecento in poi in Europa l’accumulo delle ricchezze dapprima generò deleterie posizioni di potere (da cui, per passaggi progressivi, scaturì la moderna forma di Stato) e poi plasmò il comune modo di pensare e agire, modellò la vita collettiva – spostandola dall’area rurale all’ambiente urbano e favorendo calcolo razionale, innovazione tecnologica, divisione del lavoro, contatti con altri popoli e altre culture, perfino nuove ripartizioni del tempo –, impregnò di sé la parte occidentale del Globo, fino a creare le condizioni dell’attuale dominante ideologia dei rapporti sociali; in sovrapprezzo, scatenò un conflitto sociale secolare (ora appena sopito) i cui frutti furono la nascita di Dittature totalitarie, a cavallo di due guerre mondiali e poi, fino al 1989, ossia fino a ieri, la contrapposizione armata a livello internazionale tra blocchi militari armati fino ai denti, che spinse il Pianeta sull’orlo di una guerra nucleare.

Per un verso, i mercatores, proprio nella Firenze amore e odio del Ghibelllin Fuggiasco e altrove, in particolare nell’Europa del Nord, inventarono e diffusero un nuovo modo di pensare e un nuovo modus agendi. Il successo in termini economici, l’accumulazione e l’accentramento dei capitali, la creazione di strutture stabili di scambio, la propagazione di succursali oltre gli stretti confini dei territori di provenienza, la nascita di sodalizi, il benessere scaturito soprattutto nelle città dalle attività imprenditoriali ispirò negli uomini di affari non soltanto uno stile di vita nuovo, fatto di calcolo razionale e intraprendenza spinta fino alla temerarietà e una morale innovativa frammista di fede religiosa e brama di guadagno spinta fino alla spregiudicatezza[xxiii], ma anche la consapevolezza della propria elevata importanza sociale. In seguito l’orgoglio per il proprio ruolo nella società avrebbe sprigionato nei businessmen l’ambizione politica e una visione inedita dei rapporti collettivi, in base alla quale l’organizzazione civile sarebbe stata pensata e costruita in modo funzionale al rigoglio e alla sicurezza del commercio e il profitto individuale, in precedenza demonizzato o guardato con sospetto, avrebbe costituito la matrice e financo lo scopo della norma giuridica. Si legge in un manuale di commercio del XV secolo: “La dignità e il mestiere di mercante sono grandi sotto molti aspetti… È prima in ragione del bene comune, perché il progresso del benessere pubblico è uno scopo molto onorevole secondo Cicerone, e si deve essere pronti a morire per esso. Il progresso, il benessere e la prosperità degli Stati poggiano in larga misura sui mercanti… Grazie al commercio, ornamento e motore degli Stati, i paesi sterili sono provvisti di cibi, di derrate e di molti strani prodotti importati da fuori… Il lavoro dei mercanti è organizzato in vista della salvezza dell’umanità”[xxiv]. Quanto sostenuto da Max Weber nel suo celebre saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo[xxv] sul fatto che la rivoluzione industriale e in genere lo sviluppo capitalistico furono veicolati dai postulati della religione (calvinista) non trova riscontro nelle vicende storiche: la rivoluzione capitalistica scaturì dall’intraprendenza commerciale, produttiva e soprattutto finanziaria dei mercatores, non dalla religione[xxvi], trovando poi in Inghilterra le condizioni giuridiche, sociali e materiali perfette per deflagrare.

Per altro verso, a Firenze i Medici, al culmine massimo dell’accumulo dei capitali, non soddisfatti dell’opulenza e del prestigio, si impossessarono del potere politico, con la corruzione e con la forza, e applicando alla burocrazia il metodo praticato nel commercio internazionale, «inventarono» le procedure e le strutture basilari dello Stato moderno, che poi trasmisero al Regno di Francia, per il tramite delle regine Caterina e Maria. Sempre in Francia la borghesia imprenditoriale per tutto il secolo XVIII maturò progetti sempre più ambiziosi di conquista del potere politico, alla fine riuscendo nell’intento a partire dal 1789. La codificazione napoleonica recepì le istanze del Terzo stato vittorioso[xxvii] che nel secolo successivo mantenne saldamente il potere economico e politico, nonostante la conservazione della forma monarchica in gran parte dell’Europa e nonostante il crescente peso delle élites militari (la combinazione esplosiva tra la volontà britannica di conservare il vantaggio ottenuto in due secoli di liberalismo propagandato e autoritarismo praticato, l’aggressiva politica commerciale tedesca e l’ideologia militarista diffusa ogni dove condusse al disastro della Prima guerra mondiale e di qui all’Olocausto della Seconda).

I frutti del “maladetto fiore”, ossia del capitalismo senza regole e dei suoi contraccolpi neri e rossi erano sotto gli occhi dei nostri Costituenti. La constatazione degli effetti diretti e indiretti della primazia dell’economia nella politica interna e internazionale, nel diritto, nella cultura, nella vita delle persone, ovunque, indusse i Padri a collocare la libertà imprenditoriale al di fuori dei diritti fondamentali. E a tracciare nell’art. 41 Cost. non soltanto i limiti, ma anche lo scopo sociale del suo esercizio[xxviii].

Il “vizio” che Dante condannava senza riserve, siccome ostacolo alla realizzazione degli scopi (naturale e ultraterreno) dell’essere umano, nel pensiero dei fondatori della Repubblica si è laicizzato, divenendo qualcosa da “contenere” e se necessario “dirigere.

Lo spirito del capitalismo, messo gravemente in crisi dalle istanze collettiviste propugnate dai movimenti riferibili a Marx e Lenin, dopo la caduta dell’Unione Sovietica e comunque nell’ultimo ventennio del XX secolo è riemerso più forte di prima, assumendo la nuova forma dell’ideologia neoliberale, che ha invaso e permeato tutti i settori della vita.

È un fatto notorio che il paradigma ideale del “Mercato”, imperniato sull’iniziativa economica privata, sul libero scambio, sulla concorrenza, sulla managerialità, sul calcolo costi-guadagni, sulla massimizzazione dei profitti, sull’autoregolazione[xxix] e sulla contrattualizzazione da tempo regola tutti gli aspetti del consorzio civile: istituzioni politiche, giustizia, governo, antropologia, ricerca scientifica, ecc., al punto da fondare quel metodo di azione e quella “regola condivisa di giudizio”, a cui tutti (professionisti, utenti, opinione pubblica, politici, amministratori) volentes nolentes fanno riferimento per le proprie prassi. A tacer d’altro la cd. deregulation, ispirata dall’ideologia neoliberale, a partire dagli anni ’80 del XX secolo ha smantellato ampie componenti dello Stato sociale, in quanto ritenute un ostacolo alla libera circolazione di beni e persone e alla libera concorrenza. Il pullulare delle “agenzie” indipendenti, nel settore del diritto pubblico, costituisce un riflesso della Stato-fobia propria delle vestali del dio “Mercato”, le istituzioni statali essendo ritenute eccessivamente invasive nei confronti della libertà negoziale. La tendenza alla “procedimentalizzazione” di ogni settore scaturisce dal modello della società come mercato generalizzato, in cui conta prima di tutto la bontà delle procedure che regolano i contratti (e possibilmente l’accordo dei soggetti coinvolti: tutto ciò che è imposto dall’alto, come ai tempi dello Stato-regolatore, è visto con timore). La modalità contrattuale/negoziale ha invaso il diritto amministrativo, con la conseguenza che ogni regola non scaturente da un accordo è divenuta sospetta[xxx] (eppure il paradigma della parità delle parti occulta da sempre l’asimmetria fattuale). Il diritto del lavoro degli ultimi anni è stato stravolto dalla quasi assoluta libertà transnazionale di scambi e movimenti, legittimando la libertà di licenziamento, il precariato a vita e lo sfruttamento semiservile dei lavoratori (a quanto pare soltanto la magistratura milanese, e solo di recente, si è accorta che la disciplina dei cd. rider contrasta con la Costituzione[xxxi]). La gestione e l’idea stessa dei beni culturali ha subìto nel corso degli ultimi vent’anni una metamorfosi, per cui la bellezza nazionale ha perso lo scopo di diffondere la cultura (il cui significato tende a sfuggire ai più) e quindi produrre rendite intellettuali e morali nell’intera collettività, così come impone l’art. 9 della Costituzione, trasformandosi nel “petrolio d’Italia”, qualcosa da sfruttare, per generare profitti, per lo Stato e per i privati a cui possibilmente è affidata[xxxii] (con la conseguenza che, prima del provvisorio stop imposto dalla pandemia, alcuni musei si erano trasformati in saune finlandesi[xxxiii] e le mostre d’arte avevano assunto l’aspetto di circhi Barnum)[xxxiv]. Il criterio di “efficienza”, mutuato dalla scienza economica, è il criterio principe degli avanzamenti dei magistrati nella carriera, quale consegue dalla riforma dell’Ordinamento giudiziario del 2008. Ed anche l’amministrazione sanitaria contemporanea si ispira al calcolo di utilità (anziché al principio di precauzione e all’idoneità dei servizi a profitto della salute di tutti, abbienti e non abbienti): gli effetti dei progressivi tagli indiscriminati in nome dell’efficienza manageriale e della malnata idea della sanità-peso morto sono stati messi a nudo in modo eclatante dalla pandemia. Allo stesso modo l’analisi economica del diritto (law and economics) da sempre interpreta gli istituti giuridici in chiave esclusivamente economica. I concetti importati dall’economia politica sono così decisivi da indurre i law maker a orientare le scelte politiche a seconda delle conseguenze in termini di PIL e delle reazioni dei Mercati (salvo un formale ossequio ai “valori” che dovrebbero ispirare il diritto positivo)[xxxv]. Non a caso in Europa gli Stati nazionali (in molti casi senza pronunciamenti popolari ad hoc) hanno ceduto quote rilevanti di sovranità a una entità sovranazionale (erede della Comunità economica europea) tra le cui istituzioni imperversa la Banca centrale.

Nessuna sorpresa dunque che tutto tenda ad essere valutato in termini patrimoniali id est economici-monetari. Vi è il fondato sospetto che nulla muterà dopo la pandemia e anzi le cose peggioreranno, per la fretta di recuperare il tempo perduto.

Il progetto dei Costituenti non ha avuto attuazione, mentre i timori del Sommo Poeta, inascoltato, si sono concretizzati in toto.  


[i] Giovanni Papini ricorda che Forese Donati nella tenzone poetica con Dante accusò quest’ultimo di essere figlio di un padre che per una misteriosa colpa non aveva pace neppure nel sepolcro, e che Alighiero era prestatore di denaro, come risultava da alcuni documenti, sospettando quindi che fosse usuraio (G. Papini, Dante vivo, LEF, Firenze 1933, p. 122).

[ii] D. Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, I, 49 ss.

[iii] D. Alighieri, op. cit., Purgatorio, XX, 10.

[iv] D. Alighieri, op. cit., Inferno, I, 91 ss.

[v] Espressione di G. Papini (G. Papini, op. cit., p. 145).

[vi] D. Alighieri, op. cit., Inferno, VII, 40 ss.: «… “Tutti quanti fuor guerci/ sì de la mente in la vita primaia,/ che con misura nullo spendio ferci.”»; Id., ivi, Inferno, XI, 106 ss.: “Da queste due, se tu ti rechi a mente/ lo Genesi dal principio, convene/ prender sua vita ed avanzar la gente;/ e perché l’usuriere altra vita tene,/ per sé natura e per la sua seguace/ dispregia, poi ch’in altro pon la spene”; Id., ivi, Purgatorio, XIX, 121 s.:“Come avarizia spense a ciascun bene/ lo nostro amore, onde operar perdési,/ …”.

[vii] D. Alighieri, Convivio, IV, XII, 3.4: “e per questo modo le ricchezze pericolosamente nel loro accrescimento sono imperfette, ché, sommettendo ciò che promettono apportano lo contrario. Promettono le false traditrici sempre, in certo numero adunate, rendere lo raunatore pieno d’ogni appagamento; e con questa promissione conducono l’umana voluntade in vizio avarizia”; Id., La Divina Commedia, Purgatorio, XIX, 109: “Vidi che lì non si quetava il core,/…”.

[viii] D. Alighieri, La Divina Commedia,Paradiso, XXII, 79 s.:, “Ma grave usura tanto non si tolle/ contra ‘l piacer di Dio, quanto quel frutto/ che fa il cor de’ monaci sì folle; / …”.

[ix] D. Alighieri, op. cit., Paradiso, IX, 127, 130, 131: “La tua città…/ produce e spande il maladetto fiore/ ch’ha disviate le pecore e li agni, / …”.

[x] D. Alighieri, Convivio, IV, XI, 4: “E in ciascuno di questi tre modi si vede quella iniquitade che io dico”.

[xi] D. Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, VII, 53 s.: “la sconoscente vita che i fe’ sozzi,/ ad ogne conoscenza or li fa bruni”.

[xii] D. Alighieri, op. cit., Paradiso, IX, 130, 132: “… il maladetto fiore…/ però che fatto ha lupo del pastore”.

[xiii] D. Alighieri, op. cit., Purgatorio, VI, 127, 137.

[xiv] D. Alighieri, op. cit., Inferno, XIX, 55 ss.

[xv] D. Alighieri, op. cit., Paradiso, XXVII, 22, 25-27.

[xvi] D. Alighieri, op. cit., Inferno, XIX, 112-114.

[xvii] D. Alighieri, op. cit., Inferno, XIX, 3 ss.

[xviii] D. Alighieri, op. cit., Inferno, VII, 25 ss.

[xix] Sull’argomento, specificamente, v. E. Bonora, Avarizia, in U. Bosco, (direttore), Enciclopedia dantesca, Istituto della enciclopedia italiana, Roma 2005, vol. VI, p. 7 ss., e O. Capitani, Usura, ivi, vol. XVI, p. 147 ss.

[xx] G. Mairet, L’etica mercantile, in F. Châtelet, G. Mairet, Storia delle ideologie, (a cura di), Rizzoli, Milano 1978, I, p. 438.

[xxi] D. Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, I, 100 s.

[xxii] T.S. Eliot, Cori da “La Rocca”, Rizzoli, Milano 1994, p 101.

[xxiii] Qui, contrariamente a Weber si sostiene che non fu la religione (calvinista) a dare luogo allo sviluppo capitalistico: già nel contesto della civiltà cristiana tardo medievale, fu la pratica commerciale a generare la nuova mentalità e un nuovo modus agendi, a modellare la vita collettiva – spostandola dall’area rurale all’ambiente urbano e favorendo calcolo razionale, innovazione tecnologica, divisione del lavoro, contatti con altri popoli e altre culture, perfino nuove ripartizioni del tempo –, a impregnare di sé la parte occidentale del Globo, fino a creare le condizioni dell’attuale dominante ideologia dei rapporti sociali.

[xxiv] Il passo è riportato in J. Le Goff, Merchands et banquiers du Moyen age, Presses Universitaires de France, Paris 1972, p. 82.

[xxv] M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze 1984, p. 99 ss., in particolare p. 124 ss.

[xxvi] Sul punto, ex plurimis, Capitani, (a cura di), L’etica economica medievale, Il Mulino, Bologna 1974, passim; J. Le Goff, La borsa e la vita. Dall’usuraio al banchiere, Laterza, Roma-Bari 1987, passim, e autori citati; B. Clavero, Antropologia catolica de la economia moderna, Giuffrè, Milano 1991, passim; A. Guerrau-Jalabert, Spiritus et Caritas. Le baptême dans la société mèdièvale, in F. Heritier-Augé, E. Copet-Rougier, (a cura di), La parenté spirituelle, Editiones des archives contemporaines, Paris 1995, p. 133 ss.;G. Todeschini, I mercanti e il Tempio. La società cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza tra Medioevo e l’Età Moderna, Il Mulino,Bologna 2002, passim. In una prospettiva del tutto opposta, De Roover ha sostenuto che i teologi e canonisti medievali avrebbero favorito l’evoluzione economica e una nuova logica di mercato (R. De Roover, Scholastics economics: survival and lasting influence from the Sixteenth C. to Adam Smith, in Quarterly journal of economics 1955, p. 161 ss.; Id, La pensée economique des Scolastiques, Vrin, Montrèal-Paris 1971, passim). Per una sintesi sulla storiografia circa l’influenza del pensiero scolastico sull’evoluzione del capitalismo, G. Todeschini, Il prezzo della salvezza. Lessici medievali del pensiero economico, La nuova Italia scientifica, Roma 1994, p. 85 ss.

[xxvii] A.-J. Arnaud, J.-L. Halperin, R. Martinage, L’esprit des codes napoleoniens, in S. Goyard Fabre, (a cura di), L’Etat moderne. Regards sur la pensée politique de l’Europe occidentale entre 1715 et 1848, Vrin, Paris 2000, p. 227 ss.

[xxviii] Art. 41 Cost.: “L’iniziativa economica privata è libera. – Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. – La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”.

[xxix] G.S. Becker, The economic approach to human behaviour, The University of Chicago Press, Chicago 1976, passim.

[xxx] A. Garapon, Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, R. Cortina, Milano 2007, p. 114.

[xxxi] C. Arena, F. Riccardi, Rider e cittadini, in Avvenire, 25 febbraio 2021.

[xxxii] Sul punto, in chiave critica, T. Montanari, A cosa serve Michelangelo?, Einaudi, Torino, 2011, p. 49 ss.

[xxxiii] A. Natali, Beni e mali culturali. Mai ingorgo nei piccoli Uffizi, in Il Sole 24 ore, 19 luglio 2009.

[xxxiv] Sul punto, T. Montanari, V. Trione, Contro le mostre, Einaudi, Torino 2017, passim.

[xxxv] Ancora risuonano nelle orecchie le parole del Presidente della Repubblica italiana, il 27 maggio 2018, per giustificare la mancata  nomina quale ministro dell’Economia di Paolo Savona, in quanto critico nei confronti della moneta unica: “L’incertezza della nostra posizione sull’euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L’impennata dello spread , giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali… È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri che mi affida la Costituzione, essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani. Ho chiesto per il ministero dell’Economia l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con il programma che non sia visto come sostenitore di una linea più volte manifestata che potrebbe provocare l’uscita dell’Italia dall’euro” (in M. Stefanini, S. Luciano, L’avvocato e il banchiere, Paesi edizioni, Roma 2021, p. 70).

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