Durante il XIX Secolo nel Mondo occidentale tornò in voga il culto della civiltà egizia.
Il gusto della borghesia del tempo era sempre più pervaso dal fascino per l’esotico e, allora, l’immaginario e l’antico Egitto apparvero come l’antitesi di un Occidente sempre più omologato.
Tale suggestione sfociò ben presto in un rinnovato interesse per la magia e, in particolare, per le pratiche esoteriche, che per definizione riguardano tutto ciò che è alternativo, occulto e misterioso.
Elemento tipico dell’esoterismo è la condizione di sudditanza psicologica instillata negli adepti, che spesso è anticamera del raggiro.
Al fine di tutelare i membri di questi sodalizi, vennero introdotte in diversi Ordinamenti giuridici disposizioni penali volte a proteggerli.
Il problema strettamente giuridico che, in Italia, sul finire del Secolo, si pose fu quello di conciliare gli opposti interessi di tutela di libertà religiosa e di tutela della libertà del cittadino, entrambi di evidente rilevanza giuridica.
Fu così che, in Italia, fu introdotto il delitto di plagio, disciplinato dall’articolo 145 del Codice penale Zanardelli del 1889.
Questo reato puniva con la reclusione da dodici a venti anni colui che riduceva «una persona in schiavitù o in una condizione analoga»; era contemplata, in concreto (come ben vide la Corte costituzionale nella sentenza 8 giugno 1981, n. 96), «un’azione umana esclusivamente fisica, il cui risultato era quello di porre la vittima in una condizione materiale di dipendenza da altri senza avere l’effetto, nell’àmbito dell’ordinamento italiano, dato il principio in esso vigente della libertà giuridica di ogni essere umano, di far perdere alla vittima lo stato giuridico di uomo libero o di mantenerla nella condizione giuridica di individuo privo di questo stato o in stato inferiore».
L’antecedente di tale disposizione era rinvenuto nella normativa internazionale in materia di schiavitù a partire dal Congresso di Vienna del 1815.
Nel Codice penale Rocco, invece, il fatto fu disciplinato dall’art. 603.
La norma prescriveva la pena da cinque a quindici anni di reclusione per chiunque sottoponesse una persona al proprio potere in modo tale da indurla in un totale stato di sottomissione. Si trattava in questo caso di dipendenza non più fisica, bensì psicologica.
La Corte di cassazione, nella sentenza della Sezione I penale del 30 settembre 1971, nei confronti dell’imputato Braibanti, definì il plagio proprio come «l’instaurazione di un rapporto psichico di assoluta soggezione del soggetto passivo al soggetto attivo».
Potendo essere applicata a qualsiasi fatto da cui scaturiva una qualsivoglia forma di dipendenza di un soggetto da un altro, la norma venne dichiarata dalla Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 96 del 1981, costituzionalmente illegittima, «in quanto contrastante con il principio di tassatività della fattispecie contenuto nella riserva assoluta di legge in materia penale, consacrato nell’art. 25 della Costituzione».
Nel corso degli anni in Italia furono poi proposti diversi disegni di legge vòlti alla reintroduzione del suddetto delitto nella species di plagio psicologico; tuttavia, essi non divennero mai legge per la difficoltà nel rintracciare unanimi metodi e criteri scientifici utili a definire la fattispecie.
Fra codesti disegni, nel 2005 un disegno di legge venne proposto, che mirava ad introdurre il reato di manipolazione mentale.
L’iter legislativo però si arrestò.
Il testo prevedeva la punizione di «chiunque mediante tecniche di condizionamento della personalità o di suggestione praticate con mezzi materiali o psicologici, pone taluno in uno stato di soggezione continuativa tale da escludere o da limitare grandemente la libertà di autodeterminazione».
Ai fini che qui interessano, rilevano comunque altri reati, alcuni depenalizzati e altri di minore interesse.
Invero, la fattispecie di abuso della credulità popolare, introdotta dal codice Zanardelli e poi rimaneggiata nel codice Rocco, è stata depenalizzata dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8.
Nello specifico, il codice del 1889, all’art. 459, poneva come caratteristica principale della condotta l’intenzione di abusare della buona fede della vittima. Il soggetto attivo poteva essere chiunque, non essendo indicata in alcun modo una specificazione soggettiva dell’illecito. Allo stesso modo, risultava indeterminato anche il mezzo utilizzato al fine di commettere l’illecito indicato come «qualsiasi impostura».
La nebulosità semantica dell’art. 459 del codice Zanardelli indusse la dottrina ad elaborare svariate interpretazioni: risale a Salvatore Ottolenghi – medico legale, allievo di Lombroso – l’individuazione di talune azioni tipiche, tra cui le pratiche magiche, gli esorcismi, l’utilizzo di sostanze venefiche con finalità terapeutiche, la distribuzione e la vendita di amuleti.
Era altresì contemplata l’ipotesi in cui la condotta truffaldina pur non arrecando danno alcuno a soggetti determinati fosse per lo meno idonea a turbare l’ordine pubblico a causa della potente efficacia di suggestione delle folle.
Ai fini della responsabilità, come per ogni contravvenzione, era richiesta la volontarietà del fatto in sé.
Quanto all’elemento soggettivo, però, era prescritto il fine di compiere un’azione fraudolenta.
Nella disciplina della fattispecie in esame, il codice del 1930 conservò, con la previsione di cui all’art. 661, un approccio marcatamente anticipatorio nella protezione dei soggetti più deboli – etichettati nei lavori preparatori come ‘popolino’– ma allo stesso tempo intese salvaguardare il diritto a praticare arti magiche in buona fede senza arrecare danni a terzi.
Rispetto al codice del 1889, la norma di cui all’art. 661 del vigente c.p. connotò il carattere della pubblicità del fatto in senso più ampio. Infatti, l’evento illecito poteva verificarsi in luogo pubblico o aperto al pubblico purché alla presenza di più persone, così come durante riunioni non private o, ancora, attraverso la stampa e ogni altro mezzo di propaganda. Qualora la condizione della pubblicità non si fosse verificata, il fatto poteva essere punito a norma dell’art. 17 della legge di pubblica sicurezza del 1931 che sanzionava l’esercizio di mestieri proibiti quale quello di indovino o ciarlatano.
Si inserisce nell’alveo dei reati di interesse anche la truffa aggravatadall’ingenerato timore di un pericolo immaginario (art. 640 cpv. n. 2 c.p.), nota anche come truffa vessatoria.
Nello specifico, il delitto consiste in una truffa commessa «ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità».
Il delitto in parola si configura soltanto allorché venga prospettata al soggetto passivo una situazione di pericolo che non sia riconducibile alla condotta dell’agente, ma che anzi da questa prescinda perché dipendente dalla volontà di un terzo o da accadimenti non prevedibili o preventivabili dall’uomo. Il timore contribuisce ad ingenerare l’errore nel processo formativo della volontà. In tal modo, il soggetto passivo agisce non perché coartato ma in quanto tratto in inganno.
In ogni caso, la Suprema Corte si è occupata di tratteggiare i caratteri differenziali tra la fattispecie criminosa di cui all’art. 640 cpv. n. 2 c.p. e la fattispecie summenzionata di abuso della credulità popolare, affermando che: «Integra il delitto di cui all’art. 640, comma secondo, n. 2 c.p. e non la fattispecie di abuso della credulità popolare – depenalizzata dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 –, il cui elemento costitutivo e differenziale si individua nel turbamento dell’ordine pubblico e nell’azione rivolta nei confronti di un numero indeterminato di persone, il comportamento di colui che, sfruttando la fama di mago, chiromante, occultista o guaritore, ingeneri nelle persone offese la convinzione dell’esistenza di gravi pericoli gravanti su di esse o sui loro familiari e, facendo credere loro di poter scongiurare i prospettati pericoli con i rituali magici da lui praticati, le induca in errore, così procurandosi l’ingiusto profitto consistente nell’incameramento delle somme di denaro elargitegli con correlativo danno per le medesime» (Sez. II, 29 novembre 2019, n. 49519).
Da ultimo, giova menzionare il delitto di circonvenzione di persone incapaci di cui all’art. 643 c.p., che punisce chi, abusando dello stato di deficienza psichica di una persona, la induca a compiere un atto dannoso per sé o per altri.
Ai fini della configurabilità del reato in esame debbono sussistere i seguenti elementi: a) l’instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest’ultimo abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l’assenza o la diminuzione della capacità critica; b) l’induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l’abuso dello stato di vulnerabilità del soggetto passivo, abuso che si verifica quando l’agente, consapevole di detto stato, sfrutta la debolezza del paziente per raggiungere il suo fine e cioè quello di procurare a sé o ad altri un profitto; d) la riconoscibilità della minorata capacità del soggetto passivo, in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti.
Anche questo reato si inserisce all’interno della presente trattazione.
Ed infatti la Cassazione lo ha ritenuto integrato nel caso di un soggetto anziano il quale, raggirato da un mago, aveva versato numerose somme di denaro per visite e consigli da parte dello stesso mago (Sez. II, 13 febbraio 2020, n.12415).
In conclusione, le fattispecie criminose menzionate trovano il loro elemento unificante, in chiave criminologica, nella situazione di soggezione psicologica delle vittime, la quale è favorita dalla condizione di isolamento o di timore ingenerata delle pratiche esoteriche e misteriose, tra cui, in primis, quelle tratte dalle credenze egizie riscoperte nel corso del XIX secolo.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Fiandaca G., Musco E., Diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo II, I delitti contro il patrimonio, Zanichelli, Bologna 2015, pp.199-201.
Rocco A., Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. V. Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del Guardasigilli on. Alfredo Rocco, parte II, relazione sui libri II e III del progetto, Tipografia delle Mantellate, Roma 1929.
Ruo Redda C., Egittomania. L’immaginario dell’antico Egitto e l’Occidente, Ananke, Torino 2006.
Schettini L., Ottolenghi, Salvatore, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. LXXIX, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2013, pp. 94-95.
http://www.rutiglianotrasatti.com/plagio-e-sette-sataniche-riflessione-sullex-reato-di-plagio-2/