Quando si parla di Barocco automaticamente, in genere, si pensa al ‘600 e in particolare a quel movimento estetico e culturale nato in Italia tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII secolo e poi introdottosi in Europa nel campo delle arti figurative, della letteratura, della musica fino ad attenuarsi nella metà del XVIII secolo. Ma in modo particolare il termine si abbina a una specifica impostazione artistica che ebbe fortuna a Roma tra gli anni ’20 e gli anni ’30 del ‘600 che ha visto i nomi più illustri in Gianlorenzo Bernini, Pietro Borromini e Pietro da Cortona, i quali a loro volta trovavano come matrici ideologiche e culturali generalmente i Carracci, ma anche il Tintoretto e il Veronese. Infatti secondo Salvatore Battaglia (Grande Dizionario della lingua italiana, vol. II, Torino, 1995, p. 76) il Barocco è stato individuato come denominazione specifica per sviluppare un discorso a partire dalle stesse radici etimologiche sul gioco intellettualistico delle forme e dell’emotività delle stesse nel processo di costruzione dell’opera d’arte. D’altra parte F. Braudel, lo storico francese fondatore degli Annales, dal canto suo, ha visto nella stagione del Barocco il punto di massima espressione e irradiamento della stessa civiltà italiana.
Già dal termine, e dai suoi etimi, a metà su ciò che è irregolare e imprendibile (secondo l’origine semantica spagnola) e il “baròco” nell’accezione della sillogistica scolastica che designa ciò che è intellettuale e metafisico, il concetto è teso alla creatività estrema e alla connessa produzione di stupore e meraviglia estetica. Fatto sta che, soprattutto in Italia, grazie al mezzo secolo di egemonia culturale idealistica che permea di sé tutta la prima parte del XX secolo, tanto nella versione storicistico-crociana, tanto in quella attualistico-gentiliana, il Barocco, accomunato facilmente, come si diceva, al ‘600, è stato a lungo caratterizzato in senso svalutativo sottoforma di ampollosità, sforzo inutile, esasperazione della forma.
Benedetto Croce in particolare scriveva come fosse certo che il concetto di Barocco si fosse formato nella critica d’arte per contrassegnare la forma di cattivo gusto artistico che fu propria di gran parte dell’arte del Seicento; proprio perché assunse originariamente significato dispregiativo e negativo. Quindi è necessario, sempre secondo Croce, che parole e concetto “Barocco” riprendano nell’uso vigoroso tale significato. Pertanto, sempre per Croce, “Barocco” viene a specificare un “non-stile”, un’espressione della “non-arte” del sentimento poetico in una volontà edonistica e sensuale che componeva un errore da cui ci si doveva liberare.
D’altra parte, soprattutto in ambito letterario, nel Barocco ancora per Benedetto Croce, va sottolineata la ricerca a volte algidamente intellettualistica, altre volte emotivamente passionale di ciò che stupisce, dell’arguzia logica dell’immagine unica accanto a uno sfrontato uso dell’analogia che vengono offerti in una sovente temeraria melange di “sensualismo e ingegnosità” (B. Croce, Sensualismo e ingiegnosità nella lirica del ‘600, in Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari, 1911, pp. 377-433).
In verità c’è da notare che nell’impostazione idealistica in genere e in quella italiana del ‘900 in particolare (leggi appunto Benedetto Croce) c’è ovviamente una netta frattura tra forma materiale e contenuto artistico, che a dire tra realtà tecnica e realtà ideale, per cui il formale è ritenuto il guscio esteriore di un contenuto reale e quindi vestito fenomenico di una realtà ideale che si vuole rappresentare. Nel gioco intellettuale dell’idealismo forma e contenuto sono sempre distinti e non si arriva mai a capire come in realtà la forma in quanto espressione tecnica/sensibile di qualunque prodotto artistico (e non solo) è in effetti essa stessa contenuto se per quest’ultimo concetto ci si riferisca alla realtà materiale. Insomma allora la forma in questo modo diventerebbe, correttamente, non più forma di un contenuto, bensì forma di una materia.
È un po’ come quando si afferma che il diritto sia una forma esteriore che si dà all’azione sociale in una accezione appunto idealistica del contenuto e della forma normativa. Ma se, come ha specificato Giuseppe Capograssi, nella prospettiva della sua filosofia dell’esperienza, il diritto è forma “interna” dell’azione, esso è forma agendi come la chiama Vittorio Frosini, che è a dire la materia che assume la forma, che a dire ancora la “morfologia della prassi” ovvero materia sensibilmente e percettivamente concreta che si fa forma.
Analizzato in questa prospettiva a-idealistica in effetti il Barocco non si presenterebbe più come semplice forma che nel gioco astratto e intellettualistico affoga il “povero” contenuto, bensì, invece, si mostrerebbe in guisa di modellamento tecnico della materia come espressione di una stagione storico-sociale particolare. Tale stagione è dominata sì dalla Controriforma cattolica e dal Concilio di Trento, ma il Barocco sembra imporsi come momento di rottura rispetto al passato e soprattutto con un nuovo linguaggio tecnico che trascende definitivamente il crepuscolo del Manierismo in pittura, del petrarchismo cinquecentesco in letteratura e che denuncia il cambiamento comunque rivoluzionario di una semantica artistica che attraverso l’estetica intesa come aisthesis (sensazione) trova nella ricerca di nuove tecniche espressive il modo migliore per rappresentare la stessa realtà, non già quindi per soffocarla come vorrebbe invece la lettura di Benedetto Croce nella sua accezione dell’estetica come autonomia dell’arte e che riposa pur sempre nella svalutazione della tecnica e del mezzo materiale con il quale si fabbrica (“crea”) l’opera d’arte (sia esso il marmo, la tela, le vernici, la parete murale, il pennello, il martello, lo scalpello e, per arrivare ai secoli successivi al Barocco, la macchina fotografica, la celluloide del film, il computer, il digitale, ecc.).
Ovviamente, per esempio nell’arte, il passaggio è talora traumatico negli autori così detti maggiori: si pensi al realismo nel gioco delle luci di Caravaggio rispetto al manierismo di Guido Reni; ma nei cosiddetti minori e meno manualisticamente ricorrente il passaggio dal manierismo al Barocco è tormentatamente presente in alcuni affreschi (si veda come esempio per tutti quel capolavoro quasi nascosto che è l’affresco di Archita Ricci, San Carlo Borromeo in adorazione del Sacro Chiodo, presente nella Basilica di San Sebastiano fuori le mura sull’Appia Antica in Roma).
Ecco come si può trascendere il discorso della realtà fenomenica come contenitore dell’idea reale, in quanto in verità quest’ultima è essa stessa semplicemente realtà/percezione sensoriale e in quanto tale non può non essere percepita se non attraverso una forma per essere conosciuta dai nostri sensi.
Insomma, tutto ha una forma/tutto è una forma: senza di essa non potremmo percepire nemmeno la materia. Da qui un modo che supera tale dicotomia per leggere un fenomeno, ovvero movimento, come quello del Barocco che in quella che per noi moderni è la modernità è apparso come momento che ha stressato più di ogni altra stagione l’apparente e fallace distinzione (e diversità) tra i due concetti (forma e contenuto) i quali procedendo su due binari paralleli senza mai incontrarsi hanno rischiato di finire, per una certa esegesi, in una sterile e infinita dicotomia.