Illustrazione di copertina di Bertran de Born di G. Dorè
Ogni “classico” è tale perché parla all’uomo di ogni tempo, perché è in grado di oltrepassare i secoli e risultare sempre attuale. E allora, dopo sette secoli dalla scomparsa del Sommo Poeta, possiamo chiederci: c’è qualcosa nel sistema punitivo creato e disegnato da Dante nella Comedìa che risuona come eco nell’attualità?
Il sistema di giustizia della Divina Commedia tra Inferno e Purgatorio è senza dubbio improntato sulla legge del contrappasso[i], consistente nell’applicazione dantesca dell’antico principio giuridico-morale della legge del taglione[ii]. All’interno dell’opera, in particolare, la pena del contrappasso è affermata direttamente da uno dei personaggi dell’Inferno, Bertrand de Born, collocato nel Canto XXVIII tra i seminator di scandalo e di scisma nella nona bolgia:
«… Perch’io parti’ così giunte persone,
partito porto il mio cerebro, lasso!,
dal suo principio ch’è in questo troncone.
Così s’osserva in me lo contrapasso.»[iii]
Come in vita il personaggio, con i suoi mali suggerimenti, aveva suscitato l’odio tra Enrico III e il padre Enrico II d’Inghilterra, separandoli, così ora egli si aggira nella bolgia infernale con un corpo separato dalla testa, tenendo con una mano per i capelli il proprio capo.
Nello specifico, il contrappasso viene applicato o per analogia, come nell’esempio indicato, o per contrasto, a seconda del modo in cui vengono riprodotti i caratteri della colpa commessa in vita dalle anime peccaminose. In caso di applicazione per analogia, il reo subisce l’equivalente del peccato commesso in vita; in caso di applicazione per contrasto, l’anima dell’oltretomba è sottoposta ad una punizione opposta alla condotta precedentemente posta in essere. Un esempio di applicazione per analogia è costituito dalla bufera infernale che trascina le anime dei lussuriosi[iv]: come in vita si lasciarono trasportare dalla furia dei sensi e dell’istinto, ora sono travolti eternamente dalla bufera infernale. Esempio, invece, di contrappasso per contrasto si rinviene nel Purgatorio con le anime dei superbi[v] che camminano rese curve da grossi e pesanti massi, contemplando esempi di umiltà: come nella vita adottarono un atteggiamento altezzoso, tenendo sempre la testa alta, ora sono costretti a tenere il capo chino, curvati dal peso dei massi.
Dunque, qual è l’elemento che risuona di una straordinaria modernità? Il contrappasso “per contraria”.
Si tratta di un elemento che può essere rintracciato nelle maglie del nostro attuale sistema penale, in particolare nella nuova veste che ha assunto il sistema a partire dalla l. 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), con cui si è avviato un processo di differenziazione dei sistemi sanzionatori, improntato sull’idea della pena non solo in ottica retributiva, per cui al comportamento antisociale consegue una reazione sociale negativa, bensì con finalità rieducativa, volta alla risocializzazione del reo. La crisi della pena detentiva, intesa quale strumento sostanzialmente unico e rigido di prevenzione generale e speciale, ha portato con sé lo sviluppo di una strategia differenziata contro il crimine, fondata non solo sulle pene limitative della libertà ma anche su misure alternative e sostitutive. In linea con questa impostazione è stato, poi, introdotto nel 2014 l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato (art. 168 bis c.p.), già conosciuto dall’ordinamento giuridico nell’ambito del rito minorile, e successivamente nel 2017 l’ipotesi di estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 162 ter c.p.).
Gli “accenni” di un contrappasso per contrasto possono rinvenirsi proprio nella scelta operata dal legislatore di rispondere alla commissione di un reato, ossia di una condotta riprovevole, sintomatica del disprezzo del reo nei confronti della società, non con una pena afflittiva in senso stretto bensì con una misura contraria alla condotta tenuta, una pena che prevede il servizio nei confronti della società precedentemente disprezzata. Si tratta, pertanto, in generale, di quella serie di attività di controllo, assistenza, solidarietà sociale, volte a favorire il reinserimento del reo rimesso in libertà.
La pena sostitutiva, ad esempio, è uno strumento di strategia differenziata composto di un aspetto sanzionatorio, attraverso l’imposizione di oneri satisfattori e di precise prescrizioni, e di un aspetto assistenziale e di risocializzazione rispetto ai soggetti bisognosi di assistenza sociale.
Allo stesso modo la messa alla prova di cui all’art. 168 bis c.p. prevede la prestazione di attività riparatorie e l’affidamento dell’imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma implicante attività di volontariato di rilievo sociale. Nello specifico, la sospensione del processo con messa alla prova costituisce una modalità alternativa di definizione del processo, attivabile sin dalla fase delle indagini preliminari, mediante la quale è possibile pervenire ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, laddove il periodo di prova si concluda con esito positivo. Attraverso tale riforma il legislatore ha, pertanto, inteso dar rilievo concreto alle spinte europee relative alla necessità di riformare il sistema sanzionatorio incentrato sulla detenzione inframuraria. È, tuttavia, evidente come l’estensione dell’istituto dal rito minorile a quello delle persone maggiori di età risponda ad esigenze e finalità differenti, di recente ribadite nella sentenza della Consulta del 10 giugno 2020, dep. il 6 luglio 2020, n. 139[vi]. Si tratta, invero, di due istituti, quello ordinario e quello minorile, attraverso i quali lo Stato rinuncia alla risposta punitiva in senso stretto nei confronti del colpevole per applicargli una misura che si pone in antitesi rispetto alla condotta antisociale precedentemente posta in essere. Tuttavia, mentre in sede di giudizio ordinario l’istituto della messa alla prova assume connotazioni sì special-preventive ma anche marcatamente sanzionatorie, nel caso del minore l’istituto risponde sostanzialmente ad esigenze rieducative, in linea con l’impostazione stessa del processo minorile, esigenze che si esplicano nelle prescrizioni a carattere riparatorio e in quelle dirette a promuovere la conciliazione[vii]. Da qui, infatti, una serie di differenze anche a livello di applicazione processuale dell’istituto, nell’ambito dei due diversi procedimenti.
Dunque, come Dante sceglie, ad esempio nei confronti dei superbi, di sottoporre le anime ad una condizione contraria rispetto a quella mantenuta in vita, così anche il legislatore decide di applicare una pena che costringa il reo a porsi in un atteggiamento propositivo nei confronti della società precedentemente lesa con il proprio comportamento. Come in precedenza il reo ha assunto un atteggiamento antisociale, operando contro gli equilibri della società, così ora è punito con una pena che lo costringe a ristabilire quegli equilibri e a procedere in un percorso di risocializzazione.
D’altro canto, tra le maglie del nostro sistema penale è possibile individuare anche un caso moderno di applicazione congiunta del contrappasso sia per analogia che per contrasto, parimenti a quanto accade agli ignavi dell’Antinferno[viii], i quali, da un lato, evitarono di scegliere per paura di mostrarsi e ora sono una folla anonima e dimenticata da tutti (analogia), dall’altro, perseguendo in vita alcun ideale e non avvertendo alcuno stimolo, ora sono costretti a correre incessantemente seguendo un’insegna, stimolati e punti da vespe e mosche (contrasto). Si tratta della specifica sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità prevista all’art. 73 comma 5 bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per i tossicodipendenti o assuntori di sostanze stupefacenti o psicotrope. La pena del lavoro libero di pubblica utilità, come regolata dall’art 54 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, consiste nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della comunità da tenersi presso le Amministrazioni statali o altri enti pubblici. Dunque, secondo la logica del contrappasso per analogia, come l’attività di produzione e cessione della droga costituisce per gli spacciatori attività lavorativa, spesso definita come “lavoro” dagli stessi, così il lavoro di pubblica utilità, in quanto misura sostitutiva alla detenzione e alla pena pecuniaria, mette nelle condizioni il reo di continuare a svolgere un’attività lavorativa. Tuttavia, in contrasto con gli effetti perniciosi e dannosi prodotti dal “lavoro” degli spacciatori nei confronti dei propri clienti e della società complessivamente considerata, il lavoro di pubblica utilità costringe il reo a produrre effetti favorevoli per la società medesima, consentendo, altresì, l’avvio di un processo di risocializzazione individuale.
Da qui è possibile desumere un elemento ulteriore legato alla distinzione tra i due regni dell’oltretomba. Dante, infatti, iniziando il proprio cammino nell’Inferno, arriva al Purgatorio individuando un concetto di pena diverso, sintomo di uno sviluppo interiore e della consapevolezza che il percorso verso il bene non può che partire dalla constatazione del male. Nel sistema punitivo del Purgatorio, possiamo rintracciare l’anello di congiunzione tra due epoche così distanti, la nostra e quella del Poeta.
Il contrappasso, infatti, consiste in una norma generalmente osservata per tutte le pene dell’Inferno e del Purgatorio, con un’applicazione, tuttavia, non sempre precisa e caratterizzata da quelle diversificazioni che, pur nella conformità del metodo, derivano dal diverso punto di vista con il quale il poeta guarda la materia peccaminosa nell’Inferno e nel Purgatorio, stanti le diverse ragioni che connotano i due regni dell’oltretomba. La giustizia punitiva delineata dal Sommo Poeta, che trova nel “contrappasso” uno strumento importante, si esercita, infatti, perseguendo varie finalità: dalla mera retribuzione per un male compiuto e non perdonabile alla pena emendativa e purificatrice per colpe riparabili, per usare quella distinzione che Dante riprende da San Tommaso.
Pertanto, si può sostenere che sia un concetto più da Inferno che da Purgatorio quello per cui la giustizia divina opera in modo che certi peccatori sopportino una pena analoga al peccato[ix]. Una precipua sofferenza dell’Inferno è rappresentata per le anime dall’impossibilità di essere altre da quel che furono in terra, conseguentemente la pena inflitta sarà conforme a tale caratteristica.
Al contrario, nel Purgatorio la pena acquista una valenza differente. Nella Summa theologiae (I II 87 6 ad 3) si legge che il disordine prodotto dal peccato nell’anima del misero peccatore dev’essere curato mediante pene in senso opposto: “per contraria”. Le anime delPurgatorio dantesco, che si sono rese responsabili di fatti riparabili perché la loro volontà ha accettato la giustizia divina, impegnandosi a un futuro ricongiungimento con Dio, possono scontare una pena temporanea e con effetto emendativo, finalizzata alla completa purificazione. La guarigione richiede medicine contrarie, come aveva osservato Tommaso:
Requiritur autem adhuc poena ad sanationem aliorum virium animae, quae per peccatum praecedens deordinatae fuerunt, ut scilicet per contraria curentur[x].
Le pene alternative alla detenzione e tutti quegli istituti che hanno contribuito alla creazione di un sistema sanzionatorio differenziato costituiscono le “medicine contrarie” che caratterizzano anche il sistema punitivo dantesco e, nel nostro ordinamento, corrispondono ad alcuni degli strumenti specifici utilizzati dal legislatore per dar luogo ad un trattamento individualizzato, incentrato sull’idea della sussistenza di un c.d. diritto alla risocializzazione[xi]. La struttura del sistema penale attuale, infatti, si fonda sulla necessità di un adeguamento della pena alla finalità rieducativa, sancita espressamente dalla Carta costituzionale all’art. 27[xii] e consistente nell’azione diretta ad impedire che il singolo individuo possa ricadere nella commissione del reato.
A tal proposito, si evidenzia la modifica dell’art. 165 c.p., in tema di obblighi del condannato, introdotta dall’art. 128 l. n. 689, cit.[xiii]. Il conferimento al giudice del potere di subordinare la sospensione condizionale della pena alla eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose del reato deriva proprio dalla esigenza generale di apprestare rimedi alternativi validi al sistema sanzionatorio penale incentrato sulla pena detentiva e, con specifico riferimento all’istituto di cui all’art. 163 c.p., di riportare la sospensione condizionale al suo valore originario, quale strumento per il recupero del condannato. Tale modifica, dunque, mirava, da un lato, a ristabilire in modo effettivo l’assetto sociale e patrimoniale inciso dalla condotta criminosa e, dall’altro lato, a riportare alla luce l’originaria funzione rieducativa propria dell’istituto in oggetto. L’imposizione di condotte strettamente, connesse al bene giuridico leso nel caso concreto secondo la logica del “contrappasso” dantesco, consente di esaltare le finalità special-preventive dell’istituto senza peraltro rinunciare, in ottica retributiva, al suo carattere sanzionatorio. Invero, tutti gli obblighi previsti dall’art. 165 c.p. sono stati ideati e previsti in modo tale che il loro adempimento possa sopperire alla particolare scelta dell’ordinamento di reagire al reato rinunciando all’esecuzione della pena. La logica dell’applicazione della pena “per contrasto” permette, pertanto, di soddisfare e conciliare le opposte esigenze punitive e rieducative insite nel moderno diritto penale.
Le medesime condotte riparatorie e risarcitorie sono previste anche dall’art 162 ter c.p. L’istituto in esame, introdotto dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, principalmente per esigenze di deflazione processuale e di promozione della c.d. depenalizzazione in concreto[xiv], permette all’imputato di estinguere il reato a condizione di una integrale riparazione del danno cagionato ovvero dell’elisione delle conseguenze dannose o pericolose dello stesso, ove possibile. Espressione del più ampio e generale principio del favor rei, l’istituto offre sì all’imputato un ulteriore strumento per il conseguimento dell’estinzione del reato ma lo costringe, altresì, ad un atteggiamento benevolo e di riconciliazione nei confronti della vittima, riequilibrando così anche i rapporti con la società stessa. Si tratta, dunque, anche in questo caso, di un’ipotesi in cui lo Stato rinuncia ad una punizione stricto sensu del colpevole per abbracciare alternative differenti volte alla valorizzazione della riconciliazione del reo con il soggetto passivo del reato e con la società medesima unitariamente considerata, al pari di quanto accade nel Purgatorio dantesco, nel quale il Sommo Poeta disegna un sistema punitivo finalizzato al ricongiungimento con Dio.
Il sistema di giustizia proposto nella Divina Commedia e quello appartenente al nostro ordinamento giuridico prevedono, nella varietà degli schemi predisposti, delle finalità perseguite, delle ragioni sottese, pene contrarie alle condotte colpevoli precedentemente poste in essere. È così che la scrittura dantesca arriva ad oltrepassare il tempo, fino a giungere ai nostri giorni con una straordinaria e sorprendente capacità di rendersi attuale, ed è così che, come diceva J.L. Borges con riferimento alla Comedìa, “durerà oltre la nostra vita, ben oltre le nostre veglie e sarà resa ricca da ogni generazione di lettori”[xv].
Ludovica Boccacci
Specializzata presso la ‘Scuola di Specializzazione per le Professioni legali’ LUMSA
[i] Dante usa espressamente il termine contrapasso mentre gli studiosi utilizzano indistintamente i termini contrapasso e contrappasso.
[ii] S. Pasquazi, voce Contrapasso, in Enciclopedia dantesca, vol. II, Treccani, Roma 1984.
[iii] D. Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, XXVIII,vv. 139-142.
[iv] D. Alighieri, ivi, Inferno, V, vv. 31-72.
[v] D. Alighieri, ivi, Purgatorio, X, vv. 97-139.
[vi] V., sul tema, L. Camaldo, Secondo la Consulta è legittimo che la messa alla prova del minore non possa essere disposta nella fase delle indagini preliminari, in www. sistemapenale.it 2021, 10 febbraio.
[vii] Per approfondimenti, v. C. Cottatellucci, sub art. 168 bis c.p., in G. Lattanzi, E. Lupo, (a cura di), Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Vol. X, Giuffrè, Milano 2017.
[viii] D. Alighieri, op. cit., Inferno, III, vv. 22-69.
[ix] V. anche, per approfondimenti sul tema, G. Maglio, Ordine e giustizia in Dante, Il percorso filosofico e teologico, Cedam, Padova, 2015, passim.
[x] «Ma si richiede ancora la pena per guarire le altre potenze dell’anima sconvolte dal peccato, mediante medicine contrarie»: S. Thomas Aquinatis, Summa theologiae, I-II, q. 87, art. 6, ad. 3, in Sancti Thomae Aquinatis Opera omnia iussu edita Leonis XIII P.M.,Ex Typographia Polyglotta S. C. De Propaganda Fide, Romae 1891-1892, vol. II, p. 853.
[xi] Per approfondimenti, v., per tutti, F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale,Cedam, Padova 1992, p. 560 ss.
[xii] In argomento, cfr. G. Fiandaca, Commento all’art. 27, comma 3°, Cost.,in G. Branca, A. Pizzorusso, (a cura di), Commentario della Costituzione, Zanichelli – Foro it., Bologna – Roma, 1991, p. 330 ss.
[xiii] Per approfondimenti vedi P. Cipolla, Gli obblighi di eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose del reato ex art. 165 c.p. tra funzione specialpreventiva della pena e “nuova retribuzione”, in Giur. merito 1996, pp. 187-197.
[xiv] Cfr. F. Caporotundo, L’estinzione del reato per condotte riparatorie: luci ed ombre dell’art. 162-ter c.p.,in Arch. pen. 2018, 1, 1-38.
[xv] J.L. Borges, Nove saggi danteschi, Adelphi, Milano 2001, p. 129.