
E quando fuor ne’ cardini distorti li spigoli di quella regge sacra, che di metallo son sonanti e forti, non rugghiò sì, né si mostrò sì acra Tarpea, come tolto le fu il buono Metello, per che poi rimase macra” (Purg. IX 133-138)

“… con costui puose il mondo in tanta pace,che fu serrato a Giano il suo delubro” (Par. VI 80-81)

“… come i Roman per l’esercito molto,l’anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto,
che da l’un lato tutti hanno la fronteverso ‘l Castello e vanno a Santo Pietro,da l’altra sponda vanno verso ‘l monte” (Inf. XVIII 28-33)

“Se i barbari venendo da tal plaga che ciascun giorno d’Elice si cuoprarotante col suo figlio ond’ella è vaga,
veggendo Roma e l’ardua sua opra,stupefaciensi, quando Lateranoa le cose mortali andò di sopra ” (Par. XXXI 31-36)

“… Pietro Ispano,
lo qual giù luce in dodici libelli” (Par. XII 134-135)

“quale del Bullicame esce ruscelloche parton poi tra lor le peccatrici,tal per la rena giù sen giva quello,
Lo fondo suo e ambo le pendici fatt’era ‘n pietra, e ‘margini da lato…” (Inf. XIV 79-83)

“… e quella faccia
di là da lui più che l’altre trapunta
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno l’anguille di Bolsena e la vernaccia” (Purg. XXIV 20-24)

“io son la vita di Bonaventurada Bagnoregio, che ne’ grandi officisempre pospuosi la sinistra cura” (Par. XII 172-129)

“Non han si aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che ‘n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi colti” (Inf. XIII, 7-9)

Perché men paia il mal futuro e ‘l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un’altra volta esser deriso,
veggio rinovellar l’aceto e ‘l fiele,
e tra vivi ladroni esser anciso.” (Purg. XX 85-90)

“E poi ridisse “Tuo cuor non sospettifinor t’assolvo, e tu m’insegna a fare sì come Penestrino in terra getti” (Inf. XXVII, 100-103)

“e quel corno d’Ausonia che s’imborga
di Bari e di Gaeta e di Catona ,
da ove Tronto e Verde in mare sgorga”
(Par. VIII 61-63)

(Par. VI 37-39)

“Ma come Costantin chiese Silvestro d’entro Siratti a guerir de la lebbre…“
(Inf. XXVII 94-95)