COLONIALISMO INGLESE ED EGITTOMANIA di Francesca Pace

by Lilibeth

(fotografia “Piramide Cestia e Porta San Paolo viste dal cimitero acattolico. Roma, Rione Testaccio” pubblicata su Commons wikimedia)

La bellezza ed il fascino dell’arte e della cultura dell’antico Egitto hanno rappresentato, in ogni epoca storica, motivo di grande interesse per l’Occidente. Basti ricordare che lo stesso Impero Romano riteneva orgogliosamente che l’Egitto fosse la più grande delle sue conquiste.

Se le terre d’Egitto vedono nella loro storia un avvicendamento continuo di conquiste e domini stranieri, l’arte e la cultura dell’antico Egitto sono state capaci di suscitare l’ammirazione di ogni visitatore estero, a tal punto, addirittura, da spingerlo a voler riportare in patria un elemento rappresentativo di quegli immensi tesori. Per tale ragione, dai Romani a Napoleone fino all’Impero britannico, i numerosi conquistatori dell’Oriente trafugarono e condussero in Occidente piccole e grandi antichità egizie, che ancora oggi adornano piazze, monumenti e palazzi.

L’Impero Egiziano, tra i più grandi ed imponenti del mondo antico, si era dissolto lasciando che le sue testimonianze rimanessero sepolte sotto la sabbia del deserto, e che le sue terre fossero afflitte da secoli di guerre interne e oppressioni straniere.

Eppure, la sua storia antica e moderna si fonde e si sublima nell’influenza che la sua cultura millenaria ha saputo esercitare in ogni epoca ed in ogni forma d’arte, dalla scultura, alla pittura, all’architettura e finanche oggi nel cinema. Come affermò, difatti, l’esperto d’arte James Stevens Curl: «L’Egitto ha continuato a esercitare sul gusto occidentale un’influenza stranamente tenace e sorprendentemente duratura».

In questo nostro breve scritto intendiamo occuparci in particolare di come la civiltà egiziana sia stata parte importante di quella dell’Europa e dell’Inghilterra dei Secoli XIX e XX.

Tra le numerose occupazioni straniere delle terre d’Egitto, che risalgono alla conquista operata da Alessandro Magno e, poi, all’Impero di Roma, una tra le più rilevanti nonché l’ultima prima della dichiarazione di indipendenza fu quella britannica, che durò complessivamente dal 1882 al 1952.

Arco temporale quasi centenario durante il quale i rapporti tra le due realtà culturali furono molto tesi in quanto intervallati da ribellioni e mutamenti di potere.

Le ragioni che originariamente portarono la Corona inglese a voler esercitare un controllo sempre più serrato sulle terre d’Egitto ebbero carattere marcatamente economico, in quanto legate all’apertura del canale di Suez e al consequenziale abbattimento di tempi e costi di navigazione tra l’Inghilterra e l’India. Si cercò, quindi, in un primo momento di esercitare un controllo indiretto, imponendo al governo egiziano la nomina di ministri vicini alla Corona o di nazionalità inglese. Ma, dopo la sanguinosa rivoluzione di Orābī e le sempre maggiori tensioni dovute al preoccupante consenso che quest’ultimo ottenne all’interno dei territori orientali, sfociato infine nella battaglia di Tell al-Kebir, l’esercito inglese conquistò dapprima la città di Alessandria e sùbito dopo impose de facto il proprio controllo sul Paese.

Cosicché, nonostante questo rimanesse formalmente parte dell’Impero Ottomano, in realtà fu l’Inghilterra ad imporre un lungo dominio militare. Successivamente, in occasione della Prima guerra mondiale, la Gran Bretagna lo nominò suo Protettorato, sostituendo anche l’allora viceré con un altro membro della sua famiglia, che a sua volta venne nominato Sultano.

La fine del primo conflitto mondiale portò una nuova stagione di manifestazioni ed insurrezioni nazionaliste, ricordate con il nome di Prima rivoluzione, sedate nel sangue da parte dell’esercito inglese e seguìte da infruttuose trattative per la stipulazione di un trattato di alleanza anglo-egiziano.

La ferma volontà britannica di mantenere saldo il proprio controllo sul Canale di Suez si attenuò solo nel 1922, allorquando, dinanzi ad un mai sopito e sempre crescente nazionalismo, il Regno Unito dichiarò l’Egitto una nazione indipendente sotto il nome di Regno d’Egitto. Tuttavia, la definitiva autonomia da ogni forma di influenza e controllo inglese si ebbe solo nel 1956, e fu il risultato della Rivoluzione del 1952, alimentata ancóra una volta dal malcontento popolare dovuto alla corrotta oltre che deficitaria gestione politica del Paese.

L’eredità lasciata dalla dominazione britannica non è evidente né sul piano economico né politico, poiché il potere straniero non riuscì mai ad esercitare un diretto controllo sulla vita della Nazione egiziana né determinò una contaminazione socioculturale di lungo periodo: la realtà religiosa, storica e politica dell’Egitto era troppo distante da quella inglese per restarne effettivamente e profondamente influenzata.

Nonostante ciò, non si può ignorare quanto la dominazione britannica abbia contribuito ad incentivare le attività di scavo archeologico e di riscoperta delle antiche tombe faraoniche: dopo che dalle sabbie del deserto erano emersi i tesori che Napoleone, col suo Corpo d’armata d’Egitto e con gli archeologi e scienziati al séguito, aveva trovato, descritto e in parte trasportato in Europa, assieme alla Stele di Rosetta; dopo codesto disvelamento, spettò al dominio britannico sottrarre all’oblio del tempo altri grandiosi reperti della civiltà egiziana.

A partire dal 1882, difatti, l’associazione inglese Egypt Exploration Fund (fondata dalla scrittrice Amelia Edwards) iniziò vere attività di rilievo mai condotte prima sulla Piana di Giza.

Successivamente, e tra l’altro, nel 1902, venne inaugurato il nuovo polo destinato a contenere le antichità faraoniche al Cairo, polo la cui struttura in stile neoclassico rispecchiava l’allora gusto occidentale in fatto di architettura museale, a tal punto da essere ancora oggi considerato una delle più evidenti manifestazioni del predominio culturale occidentale sull’Egitto.

Al contempo, tuttavia, una siffatta influenza ebbe come negativo risvolto la comune tendenza da parte delle potenze straniere a sottrarre una parte consistente dei reperti ritrovati per condurli in patria, dietro l’apparente necessità di preservarli dal rischio di dispersione e vendita nel mercato nero.

Unica eccezione si ebbe nel 1922 a séguito della effettiva scoperta della tomba di Tutankhamon da parte dell’inglese Howard Carter, in quanto per volontà dello stesso archeologo nessun oggetto rinvenuto nella tomba abbandonò mai il Paese.

Eppure, come prima accennato, se sul piano sociopolitico l’Egitto fu schiavo dei domìni stranieri, su quello culturale riuscì esso ad influenzare il gusto e la sensibilità artistica dell’Occidente e dell’Inghilterra in particolare, trasformandone gli stili e in parte plasmandoli a sua immagine.

Un’arte così antica eppure così preziosa venne accolta, tra il XIX ed il XX Secolo, in tutta l’Europa, come il giusto antidoto ad uno stile in voga ormai irrimediabilmente omologato ed uniformato. Fu per tale ragione che nell’Art Nouveau crebbe la tendenza ad inserire nelle nuove realizzazioni motivi egizi, così come era accaduto un secolo prima per l’arte neoclassica e per quella realista dell’Ottocento.

Il maggior rappresentante della tendenza fu in Inghilterra John Frederick Lewis con il suo Harem, ad oggi conservato al Victoria and Albert Museum di Londra. Il pittore, difatti, visse per diversi anni al Cairo, dove ebbe l’opportunità di conoscere ed apprezzare personalmente in gusto orientale.

Ma il vero pioniere inglese dell’egittomania fu Thomas Hope, ingegno eclettico: non solo amante delle lettere e scrittore, ma soprattutto collezionista d’arte, architetto, disegnatore, seppe coniugare la ricchezza inventiva con la precisione archeologica, influenzando, nel disegno, gli stili successivi fino a Christopher Dresser, che a sua volta disegnò mobili che incorporavano molti princìpi strutturali propri dell’arte egizia.

Nel Novecento, inoltre, il gusto orientale e più specificatamente il fenomeno dell’egittomania sfociò in una ondata di esotismo che influenzò la letteratura, la moda e tutta l’arte in generale.

La scrittrice inglese Agatha Christie, tra le più note autrici al mondo di romanzi gialli, forse influenzata anche dal lavoro di archeologo svolto dal suo secondo marito, Sir Max Mallowan, ambientò nell’antico Egitto il romanzo C’era una volta (originariamente intitolato Death comes at the End ed il cui incipit recita: «C’era una volta, all’epoca di Menutuhotep …»), e successivamente scelse la valle del Nilo come scenografia di una delle sue più celebri opere, Assassinio sul Nilo.

Negli anni successivi fu la volta del cinema di essere influenzato, e persino Hollywood avviò la produzione di film colossal come I Dieci Comandamenti, Cleopatra, La Mummia.

La ragione di un tale successo è riconducibile al miracolo e alla maestà dell’arte egiziana, capace di incantare ed affascinare ogni esponente delle diverse forme d’arte.

Questa cultura, seppure antichissima, è riuscita a sopravvivere agli effetti del tempo grazie al suo essere vicina alla sensibilità occidentale, antica e moderna, a tal punto da essere da molti considerata come appartenente al suo patrimonio spirituale.

Bibliografia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Occupazione_britannica_dell%27Egitto

https://it.wikipedia.org/wiki/Regno_d%27Egitto

http://www.prassi.cnr.it/prassi/content.html?id=1373

https://www.remocontro.it/2015/08/08/cera-una-volta-vecchio-canale-di-suez-e-colonialismo- europeo/

http://www.storiain.net/storia/egitto-le-rivoluzioni-dimenticate/

https://www.academia.edu/39237951 Larcheologia_in_Egitto_fra_la_fine_dellOttocento_e_linizio_del_Novecento

https://www.treccani.it/enciclopedia/egittomania-e-orientalismo_%28Storia-della-civiltà-europea-a-cura-di-Umberto-Eco%29/

https://www.storicang.it/a/le-dieci-grandi-scoperte-dellegittologia_14734

https://www.treccani.it/enciclopedia/egittologia_%28Enciclopedia-Italiana%29/

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